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Von der Leyen, Lagarde, Metsola. Un'Unione Europea tutta al femminile...con un grosso "ma"

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L'idea di questo articolo nasce da uno scambio di opinioni con la nostra collaboratrice Maria Letizia Fiammenghi, che ha dato vita a un dibattito tra i nostri analisti.

La discussione ha generato una pluralità di prospettive. Nessuna di queste ipotesi è esaustiva, né esclude in toto le altre: è inteso altresì un loro funzionamento organico e sovrapponibile.

Il quesito posto in essere è:  p****erché diversi esponenti di spicco della destra sono donne? Come mai i partiti di destra hanno un maggior numero di donne in posizioni di vertice rispetto a quelli di sinistra, che per natura sono più vicini alle istanze femministe?

Esiste una risposta univoca? Se da un lato appare normale che la rappresentanza femminile sia presente in tutto lo spettro politico, ciò che effettivamente appare insolito è che le formazioni politiche meno vicine alle istanze femministe presentino però al loro interno, soprattutto ai vertici, una forte leadership femminile.

 

IPOTESI FUNZIONALISTA

La posizione funzionalista propone un’analisi scettica riguardo il peso dell’individuo ponendo più enfasi sui giochi di potere: non si rifiuta l’esistenza di una sub-struttura dirigente che impone da dietro le quinte volontà non manifeste.

Questo metodo può essere visto anche come una prospettiva realista: un partito gestito da uomini che ha consapevolezza dell’umore dell’elettorato può ritenere effettivamente utile al fine di massimizzare i voti l’ipotesi di “piazzare” delle donne nelle proprie file. Questo effettivamente sembra essere un fenomeno abbastanza comune.

Con un’opinione pubblica che, seppur in modo eterogeneo e atomizzato, chiede una maggiore presenza femminile nelle istituzioni pubbliche, non c’è da stupirsi che qualsiasi partito che voglia vincere le elezioni sia disposto a rendersi più competitivo per soddisfare l’elettorato. Infatti, un buon modo per sottrarre elettori al partito avversario consiste proprio nell’adottare le altrui istanze (tendenza partitica centripeta).

Questa prospettiva ritiene che i vertici dei partiti di destra abbiano capito che piazzare le donne in prima fila può essere un cavallo di battaglia importante per poter inglobare una fetta della popolazione indecisa che, vedendo una donna al potere, potrebbe esserne attratta.

IPOTESI FUNZIONALISTA E CULTURALISTA

Mettendo donne ai vertici, i partiti conservatori cercano di battere i progressisti nel proprio campo, annullando una critica che i partiti di sinistra muovono alla destra, ovvero l’essere indifferente nei confronti del tema della rappresentanza femminile in politica.

Allo stesso tempo però si può sostenere che negli ultimi anni sia avvenuto un cambiamento culturale nell'area conservatrice, per cui anche i partiti di centro-destra non si fanno problemi a candidare donne in posizioni di vertice.

Detto diversamente, la questione della rappresentanza femminile nelle istituzioni è diventata un tema trasversale, in quanto ritenuto importante da tutto lo spettro politico.

Vi è poi un altro fattore da tenere in considerazione, ovvero la variabile nazionale. Si potrebbe sostenere che il ruolo delle donne in politica dipenda più dalla cultura di una determinata nazione che dall’appartenenza ad uno schieramento politico.

Ricordiamo che le donne sono arrivate ai vertici dello Stato soprattutto nel Regno Unito, in Germania e nei paesi scandinavi. Sono le aree “culturalmente più progredite” se si guarda alla legislazione (ma anche all’accettazione del ruolo paritario) in materia di diritti delle donne.

IPOTESI NON-DETERMINISTICA

Per quanto riguarda Germania e Regno Unito, bisogna inoltre considerare che Angela Merkel, Margaret Thatcher e Theresa May facevano parte dei due “partiti di governo” dei rispettivi paesi, cioè quelli che più spesso vincono le elezioni. Per quanto riguarda le nomine dei vertici delle istituzioni europee, in particolare la Commissione, esse sono il riflesso degli equilibri politici tra i partiti europei.

Il fatto che alcuni partiti conservatori siano guidati da donne (si pensi a Fratelli d’Italia e il Rassemblement National francese) di sicuro rafforza la posizione di tali schieramenti nell’ambito del confronto politico con i progressisti. Tuttavia, è da escludere che si tratti di una scelta premeditata pensata per indebolire gli avversari politici.

IPOTESI CRITICA

Il dibattito sulla rappresentanza femminile viene affrontato sovente in chiave morfologica, senza entrare mai in profondità né capire cosa ostacoli il percorso delle donne - e di chiunque appartenga a gruppi sociali che pesano meno rispetto ad altri, e dunque soggetti a disuguaglianze di riconoscimento - verso un pieno accesso alla partecipazione politica.

Si potrebbe sostenere che in Italia l'imposizione delle quote rosa abbia solo portato il discorso a una condizione di ingiustizia e corruttibilità nell'accesso ai posti di rilievo. Tant'è che, dietro alla risposta delle quote rosa, si sono configurati scenari altrettanto degenerativi di ineguaglianza, clientelismo e opportunismo.

Il problema, alla fine, non sta tanto nell'avere un'agorà di rappresentanza multiculturale e multietnica quanto nel seguire l'articolo 3 della Costituzione e, dunque, rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la piena partecipazione e realizzazione degli uni, recando vantaggi agli altri.

Situazione, questa, che diventa problematica non soltanto per gli amanti dell'uguaglianza, ma anche per i fautori della libertà in quanto non è più la condizione di cittadino, o l'autodeterminazione del sé, a favorire la partecipazione; ma l'appartenenza a un gruppo sociale o, peggio ancora, la condizione di partenza.

Per quanto riguarda il tema delle quote rosa, esse sono nate come soluzione provvisoria al problema della rappresentanza femminile. Successivamente, però, non sono stati presi provvedimenti significativi per permettere al percorso di abbattimento delle barriere (politiche e sociali) di proseguire.

IPOTESI DEDUTTIVA INDIVIDUALISTICA

Intanto bisogna rovesciare la domanda: perché le donne non dovrebbero optare per la carriera politica nella destra rispetto alla sinistra?

Partire dall’assunto che qualsiasi donna sia obbligatoriamente di sinistra e che dunque l’opposto sia impossibile, è in realtà una visione molto restrittiva del fenomeno. L’emancipazione femminile non è mai stata infatti istanza esclusiva degli schieramenti di sinistra.

Cercando di semplificare, la differenza sostanziale consiste principalmente nel fatto che la destra affronta l’emancipazione femminile in termini competitivi (concorrenza, sul modello di mercato) mentre la sinistra affronta l’emancipazione femminile NON come un fenomeno individuale bensì come un fenomeno sociale (solidarietà e collettivismo, sul modello socialista).

Vista dalla sinistra, l’emancipazione femminile non vede di buon occhio il modello competitivo (ritenuto vicino alle istanze capitaliste, maschiliste e di sfruttamento).

Un modello di governo fondato sulla leadership dell’uomo forte è intrinsecamente contraddittorio con la logica del femminismo di sinistra, che invece mira all’emancipazione tramite un sistema di solidarietà collettivo il cui scopo non è rendere le donne più competitive, bensì cambiare la struttura del gioco.

In sintesi, la donna che adotta uno schema di carriera basato sulla competizione e sull’individualismo riteniamo sia più probabile che presti i propri servigi per uno schieramento politico che lavora sotto la stessa ottica.

La vera domanda è: in un assetto collettivista che ripudia le logiche maschili e non vede di buon occhio la competizione, perché ci si dovrebbe aspettare che ci siano più “capitane” / “donne forti”?

In un sistema di potere in cui la vetta si raggiunge mediante la competizione e non mediante la solidarietà, non risulta poi così strano che siano proprio gli schieramenti ideologicamente competitivi e “maschili” ad avere più leader donne, in quanto il concetto stesso di leader o di persona forte, è una tipica espressione della logica di potere maschile, spesso incarnata appunto dalla destra.

Attendersi che donne femministe di sinistra siano inclini ad adottare modelli di carriera consoni alle logiche della competizione e alle logiche di potere maschili è in realtà come attendersi che dei pacifisti siano degli ottimi soldati: cosa che ovviamente può accadere ma che appare abbastanza complicato.

 

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