USA 2024, una democrazia in bilico
Durante questa prima metà degli anni Venti sono accaduti fin troppi eventi di notevole rilevanza storica. Dalla pandemia di Covid-19 fino alla guerra vendicativa di Israele contro Gaza, passando per l’invasione russa dell’Ucraina e il boom dell’intelligenza artificiale, giusto per citare i più significativi. Tra i tanti uno in particolare merita attenzione, poiché strettamente legato alle imminenti elezioni presidenziali americane.
Il 6 gennaio 2021 una folla di sostenitori estremisti dell’allora presidente Donald Trump prese d’assalto il Congresso proprio mentre era in corso la seduta per certificare la vittoria di Joe Biden alle elezioni del novembre 2020. L’assalto a Capitol Hill fu il culmine di un progetto eversivo cominciato già la notte delle elezioni. Con lo spoglio delle urne ancora in corso, mentre Biden si avvicinava alla fatidica soglia dei 270 delegati, Trump dichiarò che non avrebbe riconosciuto il risultato delle elezioni. Un rifiuto inamovibile che legittimò le frange più estremiste dell’elettorato repubblicano. Trump non fece marcia indietro nemmeno durante le drammatiche ore dell’assalto al Congresso, continuando a ripetere che le elezioni erano state truccate e che il vero vincitore era lui.
All’alba del 7 gennaio 2021 in molti pensarono, forse con sollievo, che i fatti accaduti a Washington D.C. poche ore prima avevano decretato la fine della carriera politica di Donald Trump. Il tycoon aveva finalmente calato la maschera mostrando al mondo intero il suo vero volto autoritario. Gli elettori, impressionati dal tentato golpe, lo avrebbero abbandonato e il partito repubblicano lo avrebbe cacciato, dando finalmente inizio all’era post Trump. Non poteva esserci previsione più sbagliata.
Trump ha incassato la nomina del partito senza nemmeno partecipare ai dibattiti con gli altri candidati e, per impedire la sua rielezione, i democratici hanno dovuto convincere Biden a farsi da parte il prima possibile. La nomina di Kamala Harris è stata accolta con entusiasmo e ha ridato speranza ai democratici, ma già da qualche settimana la marea sembra essersi ritirata. Infatti, secondo i sondaggi, i due candidati sono appaiati negli Stati in bilico da cui dipende l’esito del voto. Probabilmente saranno le elezioni più combattute dal 2000, quando George W. Bush sconfisse Al Gore per poche centinaia di voti.
Alla luce dei dati emersi dai sondaggi, alcuni commentatori hanno paventato il ritorno di Trump alla Casa Bianca, mettendo in guardia dal rischio di una probabile deriva autoritaria. Si tratta di uno scenario tanto preoccupante quanto concreto, reso ancora più inquietante dal fatto che Elon Musk, niente meno che l’uomo più ricco al mondo, è di fatto sceso in politica facendo campagna elettorale per il candidato repubblicano.
Tuttavia, il punto su cui bisogna focalizzare l’attenzione è un altro. Parlare di ritorno di Trump è sbagliato perché Trump in realtà non se n’è mai andato. Nonostante il rifiuto del risultato delle elezioni del 2020, nonostante i fatti del 6 gennaio, nonostante la sua retorica piena di bugie, odio e minacce, Trump è sempre rimasto sulla cresta dell’onda, confermandosi il punto di riferimento per l’elettorato repubblicano. È questo il dato di fatto più preoccupante.
Non c’è dubbio che Trump abbia dato un contributo molto importante all’imbarbarimento del dibattito politico negli Stati Uniti, ma le ragioni che stanno alla base del suo perdurante consenso sono molto più profonde e complesse e hanno a che fare con i mutamenti avvenuti nella società statunitense negli ultimi decenni. Trump è quindi un sintomo ma allo stesso tempo ha aggravato il malessere sociale diffondendo messaggi politici carichi di odio e dimostrando un disprezzo nei confronti della prassi istituzionale senza precedenti.
Le prossime settimane saranno cruciali. Comunque vadano a finire le elezioni, la stabilità della democrazia statunitense sarà messa a dura prova. Se Trump vince, è probabile che si assisterà a una progressiva degenerazione autoritaria durante il suo secondo mandato. Se Trump perde, i repubblicani faranno di tutto per contestare il risultato delle elezioni. Ancora una volta gli estremisti si sentiranno legittimati dai vertici del partito. C’è quindi il rischio di un secondo 6 gennaio.
Dopo anni di crescente polarizzazione, caratterizzata anche da un impressionante aumento degli episodi di violenza politica, la democrazia statunitense si appresta ad affrontare la sua prova più difficile. Nel frattempo, alleati e avversari di Washington stanno alla finestra e osservano, interrogandosi su quali saranno gli effetti del voto sul ruolo internazionale degli Stati Uniti.
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