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Russia contro Ucraina, dieci anni dopo

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Il secondo anniversario dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina si sta avvicinando in un contesto ben diverso rispetto a quello di un anno fa. All’inizio del 2023 si respirava un’aria ben più ottimistica.

L’Ucraina veniva da un autunno di successi sul campo, con la liberazione dell’oblast di Kharkiv e della città di Kherson. Allo stesso tempo, la rappresaglia missilistica lanciata dai russi contro le città non sembrava aver intaccato il morale della popolazione mentre l’avanzata russa su Bakhmut procedeva sì, ma molto lentamente e a un prezzo altissimo in termini di vite umane. Il sostegno occidentale appariva solido come non mai, come dimostrato anche dall’entusiasmo che caratterizzò il viaggio di Zelensky a Washington (21-22 dicembre 2022) e il suo frenetico tour in Europa occidentale – da Londra a Bruxelles passando per Parigi (8-9 febbraio 2023) – culminato in un solenne discorso dinanzi al Parlamento Europeo.

Per rimarcare ancora una volta il supporto alla causa ucraina, il presidente Joe Biden, con una visita a sorpresa, si recò a Kiev (20 febbraio 2023) proprio a ridosso del primo anniversario dell’invasione. Uno schiaffo politico e simbolico a Vladimir Putin, il quale avrebbe forse voluto celebrare quell’anniversario con una parata del suo esercito per le vie centrali della capitale ucraina.

Oggi la situazione è ben diversa. Il fallimento della controffensiva estiva ha avuto almeno due conseguenze: da un lato ha portato alla luce del sole gli attriti tra Zelensky e i capi del suo esercito, i quali ammettono pubblicamente che ci sono dei problemi, che la guerra è entrata in una fase di stallo e che pertanto sarà difficilissimo liberare tutti i territori occupati. Dall’altro lato, ha fatto vacillare il supporto occidentale. La guerra dura da talmente tanto, e viene combattuta con un’intensità talmente alta, che le riserve di armi e munizioni vanno esaurendosi.

Come se non bastasse, gli Stati Uniti sono entrati nell’anno delle elezioni presidenziali. La Camera a guida repubblicana si è messa di traverso e non è più disposta a concedere assegni in bianco all’Ucraina mentre per gli stessi democratici sarà sempre più difficile giustificare la politica degli aiuti, miliardi di dollari che invece potrebbero essere stanziati per questioni di politica interna. Il tutto è stato reso ancora più problematico dallo scoppio della guerra in Palestina, poiché ha costretto Washington a dover scegliere tra quale dei due alleati aiutare.

Nubi cariche di interrogativi aleggiano quindi sulla capitale ucraina. Uno di questi interrogativi riguarda, per l’appunto, la continuazione del supporto materiale dell’Occidente, e le modalità di tale continuazione. Ma l’interrogativo più esistenziale di tutti è quello riguardante la durata della guerra. È più che lecito porsi tale domanda in questo preciso momento storico, poiché quest’anno ricorre il decennale dell’inizio della guerra russo-ucraina. La ricorrenza che quest’anno ci deve far riflettere non è tanto il secondo anniversario di quel maledetto 24 febbraio, quanto il decimo anniversario dell’invasione e dell’annessione della Crimea.

Tutto è cominciato là, in quella strategica penisola che già alla metà dell’Ottocento mise l’Europa occidentale contro la Russia.  Fu quella la prima invasione dell’Ucraina ad opera della Federazione Russa. Seguì la seconda pochi mesi dopo, quando nell’estate del 2014 in aiuto dei separatisti di Donetsk e Lugansk, sul punto di essere sopraffatti dalla reazione dell’esercito ucraino, giunsero i mercenari e i “volontari” russi, che entrarono in Ucraina passando per i tratti di confine controllati dai separatisti. Quella cominciata il 24 febbraio fu quindi la terza invasione. Certo, si trattò di un’invasione ben diversa rispetto alle due precedenti, sia dal punto di vista qualitativo, sia quantitativo, ma ciò non toglie che si trattò comunque della nuova fase di una guerra già in corso.

Dieci anni dopo l’annessione della Crimea siamo qui a vivere una situazione che sa di déjà vu. La guerra in Ucraina continua ma non fa più notizia, talmente tanto ci siamo abituati. Lo stesso accadde nove anni fa, dopo l’entrata in vigore degli accordi di Minsk, che se non altro fecero crollare l’intensità di quella che all’epoca si chiamava guerra del Donbass. Oggi stiamo vivendo una situazione simile, ma con una differenza fondamentale: Russia e Ucraina non hanno firmato alcun accordo di cessate il fuoco.

Nove anni fa il calo dell’interesse nei confronti del Donbass fu giustificato dalla riduzione della violenza del conflitto tra gli ucraini e i separatisti appoggiati dalla Russia. Oggi il calo dell’interesse è dovuto ad altro: si percepisce una certa stanchezza da parte dell’opinione pubblica e una certa impotenza da parte dei governi occidentali, che non sanno cos’altro fare a parte dare armi e denaro all’Ucraina. Armi e denaro che evidentemente non bastano, visto l’insuccesso della controffensiva.

Questa impotenza riguarda però anche gli ucraini, i quali, a parte forse Zelensky, hanno ormai capito che la liberazione di tutti i territori occupati è un miraggio, così come i russi, che al netto di una propaganda isterica, sono ben lungi dal completare la conquista delle quattro regioni annesse oltre un anno fa. Stando così le cose, è probabile che tra dieci anni saremo ancora qui a dover fare i conti con il conflitto tra Russia e Ucraina. Almeno quelli che non se lo saranno dimenticato del tutto.

 

 

Massimiliano Palladini

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