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L'Europa schiacciata, ovvero la guerra fredda non è mai finita

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Sono già passati sei mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Pochissimi, all’alba dello scorso 24 febbraio, si sarebbero aspettati una simile capacità di resistenza da parte delle forze armate e della popolazione dell’Ucraina. Di sicuro non se la aspettavano Putin e la maggior parte dei suoi più stretti collaboratori, illusi che lo Stato ucraino sarebbe crollato come un castello di carte nel momento in cui i carri armati marchiati con la Z avrebbero oltrepassato il confine. E così quella che doveva essere un’“operazione militare speciale” si è trasformata in una sanguinosa guerra d’attrito nella steppa del Donbass.

Certo, i russi hanno preso Kherson, Mariupol, hanno reso il mar d’Azov un lago interno e la regione di Luhansk è caduta nelle loro mani. Tuttavia, è innegabile che i risultati ottenuti dai russi in termini di territori conquistati siano altamente deludenti. Il Cremlino non solo non è riuscito a imporre il cambio di regime ma è ancora lungi dal completare la conquista del Donbass.

Ad ogni modo, la ricorrenza del sesto mese dall’inizio delle ostilità fornisce l’occasione per riflettere sulle conseguenze della guerra russo-ucraina sull’equilibrio europeo. Ovvero, in che modo la guerra in Ucraina ha impattato sulle relazioni tra i principali attori statuali e non presenti e/o coinvolti nel Vecchio Continente?

L’invasione russa dell’Ucraina ha riportato alla luce del sole il vecchio equilibrio della seconda metà del Novecento, dimostrando platealmente che la competizione geopolitica nel Vecchio Continente non è cambiata di molto rispetto all’età bipolare. In breve, la guerra fredda non è mai finita poiché i principali attori protagonisti dell’equilibrio europeo continuano ad essere gli Stati Uniti e la Russia, quest’ultima non più sovietica. Semplicemente, la sfera d’influenza statunitense si è spostata verso oriente mentre la Russia ha perso tutti gli alleati ad occidente dei suoi confini, ad eccezione della Bielorussia. L’Europa, quindi, continua ad essere terreno di competizione tra Washington (una potenza nordamericana) e Mosca (una potenza eurasiatica) mentre gli europei sono costretti a giocare un ruolo di secondo piano, poiché rientranti nella sfera d’influenza statunitense.

La subalternità degli europei – non solo delle istituzioni comunitarie ma anche dei principali paesi – emerge in maniera cristallina soprattutto in situazioni di guerra, poiché essi hanno delegato l’esercizio dell’attività bellica alla Nato, ovvero un’alleanza politico-militare composta da un gigante e ventinove (presto trentuno) nani. Perciò, così come negli anni Novanta gli interventi Nato a guida statunitense furono determinanti per mettere fine alle guerre nei Balcani, oggi la parte del leone per quanto riguarda gli aiuti militari all’Ucraina la fanno di gran lunga gli Stati Uniti seguiti dai loro più stretti alleati, ovvero il Regno Unito (come sempre) e la Polonia, seriamente intenzionata a rendere l’Ucraina la tomba dell’orso russo [1].

Non è solo una questione di potenza militare. Questi primi sei mesi di guerra hanno dimostrato platealmente che la postura dei tre principali paesi dell’Unione Europea non è così antirussa come quella degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Polonia.

La Germania, pur avendo annunciato da subito un epocale programma di riarmo, è combattuta tra la tutela degli stretti legami economici con la Russia e le pressioni degli alleati, mentre l’ampiezza della maggioranza guidata da Olaf Scholz impatta negativamente sull’efficacia dell’azione di governo.

La Francia, per bocca del presidente Emmanuel Macron, che già nei mesi precedenti l’invasione si impose come principale interlocutore europeo di Vladimir Putin, ha più volte rimarcato l’importanza di non umiliare la Russia. Un approccio molto distante da quello del governo statunitense, finalizzato, nelle parole del capo del Pentagono Lloyd Austin, a “indebolire la Russia per impedirle di fare ciò che ha fatto invadendo l’Ucraina” [2]. La differenza tra Stati Uniti e Francia non si misura solo con le parole. Guardando agli aiuti militari si nota infatti che Washington ha contribuito molto più di Parigi.

Per quanto riguarda il nostro Paese, con Mario Draghi a Palazzo Chigi l’Italia ha convintamente supportato l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, vincendo infine le riluttanze francesi e tedesche [3]. Allo stesso tempo, però, Roma si è ben guardata dall’assumere un atteggiamento marcatamente antirusso come quello dimostrato da Washington, Londra e Varsavia. Di conseguenza, l’invio di aiuti militari all’Ucraina è andato di pari passo con la ricerca di una soluzione negoziale che ponga immediatamente fine alle ostilità. Infatti, l’Italia è finora l’unico paese occidentale ad aver presentato un piano di pace [4].

In pratica, mentre alcune capitali occidentali sfruttano l’occasione della guerra russo-ucraina per indebolire Mosca nella speranza, forse, di favorire la destituzione di Putin, Roma supporta l’adesione di Kiev all’Ue, sostiene materialmente gli sforzi ucraini volti a preservare l’integrità territoriale del paese nei confronti dell’aggressione russa e allo stesso tempo si impegna, attraverso i canali diplomatici, per trovare una soluzione negoziale al conflitto.

Torniamo per un attimo alla Francia. Il famoso giudizio sprezzante nei confronti della Nato pronunciato da Macron nell’autunno del 2019 – “un’alleanza cerebralmente morta” [5] – è entrato di prepotenza negli annali delle frasi ed effetto invecchiate malissimo. Tutto merito del governo russo e della sua scellerata guerra d’aggressione, un evento terribile che l’Europa non vedeva da ottant’anni. Per l’alleanza nordatlantica non poteva esservi linfa vitale più nutriente. Invadendo l’Ucraina, la Federazione Russa ha dimostrato di essere una concreta minaccia per la sicurezza europea, e in particolare per la sicurezza dei paesi che con essa confinano. Putin è addirittura riuscito nell’impresa di convincere Svezia e Finlandia a rinunciare alla loro storica neutralità, causando quindi un netto allungamento del confine tra l’alleanza nordatlantica e la Russia.

Altro che morte cerebrale, la Nato non è mai stata così viva! In tutto ciò l’influenza statunitense in Europa ne esce rinvigorita. Poiché Nato concretamente significa soprattutto, ma non esclusivamente, che gli Stati Uniti si impegnano a proteggere i paesi europei membri dell’alleanza in cambio della loro fedeltà.

L’altra faccia della medaglia di quanto appena osservato è lo svilimento di qualsiasi ambizione di autonomia strategica europea. Poiché il rafforzamento della Nato e il rinvigorimento dell’influenza statunitense in Europa sono incompatibili con l’autonomia strategica dell’Unione Europea. La degenerazione della guerra russo-ucraina, il determinante ruolo degli Stati Uniti nell’ambito delle forniture di materiale bellico a Kiev e la richiesta di adesione alla Nato avanzata da Svezia e Finlandia sono tutti indicatori del fatto che, nonostante gli sviluppi del processo d’integrazione europea accaduti negli ultimi decenni e l’indiscutibile peso economico dell’Unione, Washington continua a ricoprire un ruolo determinante in Europa, specialmente quando si tratta di politica estera ed affari militari. Ovvero gli ambiti in cui l’Unione Europea continua a mostrare tutta la sua debolezza.

Certo, l’autonomia strategica totale è un’utopia poiché un’Europa sovrana ed unita non avrà comunque capacità di deterrenza paragonabili a quelle statunitensi e a quelle russe e in ogni caso, dal punto di vista geografico, sarà stretta come in una tenaglia da Mosca a oriente e da Washington e Londra a occidente. Ma in quanto utopia l’autonomia strategica dovrebbe essere anche un orizzonte verso cui tendere un passo alla volta. Poiché non serve certo uno stratega o un fine analista per capire che gli interessi statunitensi e quelli europei, benché simili in linea generale, non potranno mai coincidere alla perfezione.

Se il distacco completo da Washington non è possibile (e nemmeno desiderabile), i paesi dell’Unione Europea devono impegnarsi per conquistare un’autonomia parziale che permetta loro di perseguire i propri interessi in situazioni e luoghi importanti per l’Unione ma non per la Nato o gli Stati Uniti. Da questo punto di vista è da accogliere positivamente l’approvazione, avvenuta lo scorso marzo, della Bussola strategica, un documento che delinea gli obiettivi strategici dell’Unione Europea da qui al 2030 [6].

Preso atto di questa necessità e dell’indifferenza della maggior parte dei paesi dell’Europa centro-orientale nei confronti di qualsiasi progetto autonomista europeo (poiché soddisfatti dalla Nato e/o gelosi della loro sovranità nazionale), la sfida più grande consisterà nel conciliare gli interessi dei principali paesi dell’Europa occidentale.

 

CIVITAS EUROPA - DIVISIONE RELAZIONI INTERNAZIONALI

Massimiliano Palladini

 

Note

[1] Per un approfondimento sugli aiuti militari occidentali all’Ucraina si veda Mirko Campochiari, Quante armi ha l’Ucraina e chi gliele fornisce, in Limes. Rivista italiana di geopolitica, 6/2022, pp. 179-82.

[2] Missy Ryan, Annabelle Timsit, U.S. wants Russian military “weakened” from Ukraine invasion, Austin says, washingtonpost.com, 25 aprile 2022.

[3] Riccardo Raspanti, Ucraina: ultimo capitolo nell’allargamento dell’UE, civitaseuropa.com, 27 aprile 2022, https://civitaseuropadoteu.wordpress.com/2022/04/27/ucraina-lultimo-capitolo-nellallargamento-dellue/.

[4] Tommaso Ciriaco, La pace in 4 tappe. Sul tavolo dell’Onu arriva il piano del governo italiano, repubblica.it, 19 maggio 2022.

[5] Nato alliance experiencing brain death, says Macron, bbc.com, 7 novembre 2019.

[6] Massimiliano Palladini, La Bussola strategica dell’Ue e il risveglio italo-tedesco, civitaseuropa.com, 25 marzo 2022, https://civitaseuropadoteu.wordpress.com/2022/03/25/la-bussola-strategica-dellue-e-il-risveglio-italo-tedesco/.

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