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Bakhmut, la rivincita della guerra vera

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Dopo quasi dieci mesi di estenuanti combattimenti, la battaglia di Bakhmut si è conclusa. Le forze armate russe controllano il centro abitato mentre si continua a combattere nelle zone di campagna circostanti la città.

Sebbene si tratti del primo successo conseguito dai russi nel 2023, non ci vuole uno stratega militare per capire che, quella di Bakhmut, è più che altro una vittoria di Pirro. Tant’è che lo stesso Yevgeny Prigozhin, capo del famigerato gruppo Wagner, ha più volte ammesso le pesanti perdite subite dai suoi mercenari. Numerosi sono i commentatori che hanno messo in dubbio l’importanza strategica della città, suggerendo che la valenza di Bakhmut era soprattutto politica. Per gli ucraini, la città è diventata il simbolo della tenace resistenza contro l’aggressione. Per i russi, il banco di prova su cui dimostrare la loro determinazione a conquistare l’intero Donbass.

Comunque, al di là delle considerazioni politiche e militari sul significato della battaglia nell’ambito della guerra in corso, riflettere sulla lunga lotta per Bakhmut ci porta a prendere atto che essa ha platealmente messo a tacere certe narrazioni tanto in voga – nell’immaginario collettivo e nel dibattito pubblico – prima del 24 febbraio 2022.

Riflettiamo per un attimo sui tratti peculiari di questa battaglia. Decine di migliaia di soldati coinvolti appartenenti a eserciti convenzionali e mercenari, migliaia di morti tra militari e civili, il centro abitato raso al suolo e la campagna circostante trasformata in un paesaggio lunare grazie al massiccio impiego dell’artiglieria, combattimenti all’ultimo sangue trincea per trincea, casa per casa. Tutto questo per una città dal dubbio significato strategico. Sembra la sommaria descrizione di una battaglia combattuta sul fronte occidentale della Prima guerra mondiale e invece siamo in Europa nel XXI secolo inoltrato.

Quante volte, prima del famigerato 24 febbraio, abbiamo sentito dire che ormai le guerre non si combattono più tra gli Stati ma dentro gli Stati? Quante volte abbiamo sentito presunti esperti pontificare che in futuro la guerra sarebbe stata cibernetica, ibrida, economica e che la guerra convenzionale era ormai obsoleta perché economicamente troppo costosa? Come se la guerra fosse un fatto principalmente economico, invece che politico.

L’invasione russa dell’Ucraina – e in particolare la battaglia di Bakhmut – hanno messo a tacere tutte queste voci ottimistiche. La guerra, quella vera, quella che dilania i corpi e distrugge le case, si è presa la sua violenta rivincita. Nella migliore delle ipotesi, le guerre del futuro saranno anche cibernetiche, economiche, ibride. Ma questi strumenti coercitivi, vecchi e nuovi, non potranno prescindere dalla forza convenzionale, cioè quella delle armi e degli eserciti.

Il governo ucraino non ha esitato ad arrestare gli oligarchi con importanti affari in Russia mentre gli Stati Uniti e i loro alleati hanno immediatamente sanzionato la Federazione, con i paesi europei che hanno deciso di recidere il loro storico legame con gli idrocarburi russi. Ma questi provvedimenti non sono sostitutivi della guerra, ne sono un corollario. Infatti, Kiev e Mosca hanno più volte fatto ricorso ad attacchi informatici per colpire il nemico, nel tentativo di sabotarne le infrastrutture strategiche e i mezzi di propaganda, ma contemporaneamente stanno combattendo aspramente per ogni chilometro quadrato del Donbass. La guerra cibernetica non sostituisce quella convenzionale. Semplicemente la tecnologia informatica fornisce agli Stati uno strumento di coercizione in più.

Sette decenni di pace tra gli Stati del Vecchio Continente ci hanno illuso che la guerra fosse stata consegnata ai libri di storia. Eppure bastava osservare il recente passato di una regione molto vicina all’Europa per rendersi conto che la guerra, nonostante tutto, continua ad essere uno strumento di risoluzione delle controversie tra Stati. Infatti, dal 1945 in poi, quante guerre d’aggressione sono state combattute nel Vicino Oriente?

Si pensava ingenuamente che l’Europa fosse un’altra cosa, che dopo le devastazioni della prima metà del secolo scorso quel tipo di guerra non fosse più concepibile nel Vecchio Continente. L’annessione della Crimea e l’intervento russo nel Donbass furono un campanello d’allarme...rimasto ignorato.

Il congelamento della guerra con gli accordi di Minsk fece ripiombare i più nel dolce sonno delle illusioni. Poi all’alba del 24 febbraio la Storia ci ha risvegliato. E a Bakhmut ci siamo resi conto che l’oscena insensatezza della guerra non è un brutto ricordo dei secoli passati. Un monito da tenere ben presente, specialmente se pensiamo, per esempio, alle tensioni nello stretto di Taiwan, che vedono fronteggiarsi la Cina e gli Stati Uniti. Per ora solo a parole.

 

 

Massimiliano Palladini

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