Torna al blog

Ungheria, un inquilino scomodo per l'Unione Europea

Post Cover - Ungheria, un inquilino scomodo per l'Unione Europea

Non c'è pace tra Ungheria e Unione Europea

Il mondo della cultura è il nuovo terreno di scontro tra l’esecutivo ungherese guidato da Viktor Orban e la società civile. Le tensioni sono scoppiate nel giugno del 2020, quando la SzFE (l’Università del cinema e del teatro di Budapest) è finita al centro di un controverso progetto di ristrutturazione che avrebbe dovuto portarla, a partire dal primo settembre, dal settore pubblico a quello privato. Professori e studenti hanno denunciato la mossa come un tentativo di limitare la libertà di espressione, dato che la SzFe sarebbe finita sotto il controllo di una fondazione a cui prendono parte diversi esponenti del partito di governo. L’esecutivo ha rifiutato di posticipare il progetto e sono così scoppiate delle dimostrazioni popolari. Diverse migliaia di persone sono scese in piazza a Budapest, ad inizio settembre, ed hanno formato una catena umana nei pressi del Parlamento, chiedendo il diritto alla libertà accademica. La direzione della scuola, che ha formato alcuni dei più prestigiosi registi e sceneggiatori ungheresi, ha infine deciso di dimettersi dato che molti professori avrebbero dovuto abbandonare il proprio ruolo. Sullo sfondo riecheggiano le parole minacciose pronunciate dai seguaci di Orban in favore di una svolta conservatrice in ambito culturale e della fine della dominazione dei progressisti e liberali in ambito artistico.

Un monitoraggio preoccupante

L'organizzazione non governativa americana Freedom House, che da decenni monitora il rispetto dei diritti in tutti i Paesi del Mondo, ritiene che il governo guidato da Fidesz (il partito di Orban) cerchi di controllare le scuole e le università del Paese. A partire dal 2018 ha limitato l’operatività della Central European University**,** un istituto accademico fondato da George Soros dopo il crollo dell’Unione Sovietica, forzandone la chiusura parziale. Nel 2019 ha cercato di porre fine all’autonomia dell’Accademia Ungherese delle Scienza, che avrebbe dovuto essere privata delle sue istituzioni di ricerca con una mossa definita, dalla stessa Accademia, come un tentativo di “esercitare un totale controllo politico”. I piani sono poi stati abbandonati in seguito alle forti pressioni popolari. L'organizzazione non governativa Human Rights Watch (HRW) ritiene che il governo ungherese non rispetti lo stato di diritto ed i diritti umani. Le organizzazioni legate alla società civile, secondo quanto scritto da HRW, devono affrontare restrizioni legislative mentre i giornalisti indipendenti vengono derisi dai media filo-governativi. Sotto accusa sono finiti anche i toni xenofobi ed anti-immigrati espressi da alcuni esponenti politici del Paese ed il pessimo trattamento subito dai richiedenti asilo.

Scontri regolari

La Vice-Presidente  della Commissione Europea Vera Jourova ha recentemente equiparato Budapest ad una “democrazia malata”. Un paragone che ha mandato su tutte le furie Viktor Orban che, a stretto giro di posta, ne ha chiesto le dimissioni ed ha affermato che le dichiarazioni della Jourova sono “un attacco politico diretto contro il governo democraticamente eletto dell’Ungheria”. Nel settembre 2018 il Parlamento Europeo aveva votato in favore della cosiddetta “opzione nucleare”, prevista dall**’**articolo 7 dei Trattati, cioè la minaccia di privare il Paese del diritto di voto nelle istituzioni europee. Una misura drastica, estrema, prevista dai Trattati ma mai utilizzata nel corso della storia comunitaria e volta a punire chi viola i principi fondanti dell’Unione. Il dossier ungherese, che si è trascinato per lungo tempo, ha indotto la Commissione Europea ad aprire una serie di procedure d’infrazione ai danni di Budapest. All’Ungheria sono stati rimproverati casi sospetti in cui è stata messa a rischio l’indipendenza della giustizia, la difesa dei migranti e la libertà di stampa. La situazione si è poi cristallizzata: la procedura continua ad essere sotto l’esame del Consiglio Europeo ma le specifiche criticità continuano a rimanere insolute senza che si sia riusciti ad avviare un dialogo efficace e proficuo tra le parti.

Una strategia dominata dalla furbizia

Viktor Orban è riuscito a mettere in difficoltà Bruxelles ed il Partito Popolare Europeo, di cui Fidesz è membro. Il primo ministro ha chiesto ed ottenuto un mandato dal Parlamento per poter porre il veto dell’Ungheria alla posizione comune europea espressa in materia di Recovery Fund e di quadro finanziario pluriennale. Orban ha deciso di legare l’eventuale caduta del veto alla chiusura della procedura dell’Articolo 7 intentata contro l’Ungheria riuscendo, in questo modo, ad imbarazzare l’Unione. Lo stesso è stato fatto con il Partito Popolare Europeo che aveva messo sotto inchiesta Fidesz per verificare se rispettasse o meno i valori di base dei moderati europei. Il partito ha minacciato di abbandonare il gruppo a meno che non venisse chiusa l’inchiesta, che è stata prontamente sospesa.

Lo scontro tra Europa ed Ungheria ha recentemente toccato l’ambito giudiziario. La Corte di Giustizia europea ha sentenziato che la legge sull’istruzione superiore, così come modificata da Budapest, non è in linea con la legge europea. Si è trattato di una vittoria significativa, sebbene dagli scarsi riflessi pratici, per la Central European University fondata da George Soros, costretta a trasferire buona parte delle proprie attività a Vienna in seguito a dissapori emersi con l’esecutivo Orban. Soros ha accolto con favore la sentenza ma ha anche affermato che è giunta troppo tardi e che ormai la Central European University non può tornare ad operare in Ungheria a causa dell’assenza di libertà accademiche.

La pandemia

Il parlamento ungherese, dominato da Fidesz, ha garantito ad Orban amplissimi poteri durante la prima ondata della pandemia. Il Primo Ministro ha potuto governare per decreto, uno sviluppo che ha allarmato diversi esponenti politici comunitari, timorosi per la possibile fine della democrazia nel Paese. Le cose, in realtà, non sono andate così. Budapest è riuscita ad attraversare, quasi indenne, i difficili mesi primaverili ed Orban, una volta superata la fase critica, ha rinunciato ai poteri straordinari. Tutti i movimenti politici europeisti hanno però condannato, con estrema durezza, l’operato dell’esecutivo ungherese, contribuendo ad allargare un fossato che sembra ormai incolmabile e che potrebbe allargarsi ulteriormente. La seconda ondata di contagi, che ha colpito l’Europa a partire dal periodo tardo estivo, si sta accanendo con durezza sull’Ungheria, costretta a fare i conti con una vera e propria escalation dei contagi. Non è da escludere, nel breve periodo, una nuova svolta accentratrice in grado di allarmare le cancellerie europee e di provocare un (forse) definitivo allontanamento di Budapest dal percorso europeo.

Il record di nuove infezioni giornaliere, che hanno toccato quota 1367 appena alcuni giorni or sono, ha spinto le autorità ad adottare misure restrittive per tentare di arginare il contagio. Dall’imposizione delle mascherine facciali obbligatorie in cinema, teatri ed uffici pubblici (in precedenza lo erano sui mezzi pubblici e nei negozi) all’obbligo, per i club, di chiudere alle 11 di sera passando per il divieto di visite ai pazienti ricoverati negli ospedali e nelle residenze per anziani. Si tratta di scelte dettate dal buon senso ma che, nel difficile contesto ungherese, potrebbero venire facilmente strumentalizzate e portare a sviluppi imprevisti.

 

Andrea Walton

Collaboratore esterno - CIVITAS EUROPA

Torna al blog