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UE-UK, breve storia storia di una relazione problematica

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Manca poco al 1° gennaio 2021, giorno in cui il Regno Unito sarà a tutti gli effetti fuori dall'Unione Europea. Sebbene abbia ufficialmente lasciato l'Unione lo scorso 31 gennaio, la Gran Bretagna fa ancora parte del Mercato Unico e dell'unione doganale. Le relazioni tra Bruxelles e Londra si trovano infatti in una fase di transizione pensata per dare il tempo alle due parti di negoziare un trattato che regoli le loro relazioni future. Trattato che è stato siglato in extremis, a una settimana esatta dalla scadenza del 31 dicembre.

Visto che tra pochi giorni la Brexit sarà realtà una volta per tutte, vale la pena fare un breve resoconto della relazione tra Londra e il processo d'integrazione europea.

La Gran Bretagna manifestò la volontà di aderire a tale processo già a inizio anni Sessanta. Il primo tentativo di adesione a quella che all'epoca era la Comunità Economica Europea (Cee) naufragò nell'estate del 1962 quando, in seguito al tentativo britannico di rimettere in discussione i regolamenti fondamentali della Politica agricola comune (Pac), il Presidente francese Charles De Gaulle decise di porre il veto. Stessa sorte toccò al secondo tentativo, datato 1967. Ancora una volta il veto di De Gaulle fu determinante.

Una volta uscito di scena il padre della Quinta Repubblica si creò il clima favorevole all'adesione britannica. I negoziati, cominciati nel giugno 1970, culminarono il 22 gennaio 1972 con la firma del trattato di adesione. Si trattò del primo allargamento della Cee. Non solo il Regno Unito ma anche l'Irlanda e la Danimarca aderirono al processo d'integrazione europea. In realtà, tra i firmatari del trattato vi fu anche la Norvegia. Tuttavia, attraverso un referendum popolare tenutosi il 25 settembre 1972, i cittadini norvegesi si opposero all'adesione del Paese.

Il 1° gennaio 1973 il Regno Unito diventò a tutti gli effetti uno Stato membro della Cee. Dopo solo due anni però, per la precisione il 5 giugno 1975, si tenne un referendum popolare, il primo della storia britannica, per decidere se il paese dovesse continuare o meno la sua permanenza nella Comunità. Tale referendum fu, da un lato, la conseguenza del cambio di maggioranza avvenuto in seguito alle elezioni del 1974, dall'altro, il primo sintomo di una relazione tribolata che si sarebbe avviata a conclusione con il secondo referendum sulla permanenza nel processo d'integrazione, quello del 23 giugno 2016.

La vittoria del Remain nel 1975 fu favorita dalle spaccature in seno al partito laburista, che all'epoca era al governo. Mentre il Primo Ministro Harold Wilson era favorevole alla permanenza, la sinistra del partito, capeggiata da Tony Benn e di cui faceva parte anche Jeremy Corbyn, era ostile alla Cee, considerata un "club capitalista" che avrebbe fatto perdere il lavoro a migliaia di britannici. Paladina del Remain fu Margaret Thatcher (famosissima la fotografia che la ritrae con indosso il maglione con le bandiere dei Paesi Cee), all'epoca leader del partito conservatore.

Paradossalmente, nel corso del decennio successivo, fu proprio la Thatcher a rendersi protagonista di numerose dispute con la Commissione europea. Già durante il Consiglio europeo di Dublino del settembre 1979 la Thatcher, che da pochi mesi aveva assunto l'incarico di Primo Ministro, sollevò la questione del contributo britannico al bilancio della Cee (un'intesa in tal merito fu raggiunta durante il Consiglio europeo di Fontainebleau del giugno 1984).

Con la nomina, nel 1985, del francese Jacques Delors al vertice della Commissione i dissidi tra Londra e Bruxelles si aggravarono. Dimostrazione plastica di queste tensioni fu il discorso pronunciato dalla Thatcher a Bruges nel settembre 1988.

Già durante gli anni Ottanta, quindi, si manifestò apertamente il malessere britannico nei confronti della strada intrapresa dal processo d'integrazione europea. Favorevole al completamento del Mercato Unico, il Regno Unito si oppose strenuamente a qualsiasi riforma che implicasse una riduzione della sovranità britannica (per esempio, con la creazione della moneta unica) o un approfondimento dell'integrazione in senso politico o sociale.

La seconda metà degli anni Ottanta fu infatti un periodo caratterizzato da spinte riformiste, frutto delle iniziative della commissione Delors, che avrebbero portato prima all'Atto Unico Europeo del 1986, prima riforma dei trattati di Roma del 1957, e poi alla nascita dell'Unione Europea con il trattato di Maastricht del 1992.

Messo di fronte a questi importanti cambiamenti, che furono stimolati anche dalla fine della guerra fredda e dalla riunificazione tedesca, il Regno Unito decise di partecipare alla costruzione europea come membro speciale. È questo il dato che emerge chiaramente dalla decisione britannica di fare largo uso delle clausole di opt-out, le quali permettono a uno Stato membro di non partecipare ad alcune iniziative previste dai trattati.

E così Londra non ha aderito né alla moneta unica, né all'area Schengen. Inoltre, ha beneficiato di un opt-out parziale anche per quanto riguarda l'applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000 e che dal 2009 gode dello stesso valore giuridico dei trattati.

Il fatto che a partire dagli anni Novanta il Regno Unito abbia beneficiato di numerose eccezioni dimostra chiaramente l'esistenza di un disagio nei confronti dell'approfondimento dell'integrazione. Nel frattempo, proprio a partire da quel decennio, l'euroscetticismo iniziò a montare. La fondazione dello Ukip (United Kingdom Independence Party), la cui ascesa durante lo scorso decennio contribuì ad innescare quella serie di eventi che portò alla vittoria del Leave nel 2016, risale al 1993, anno della ratifica del trattato di Maastricht.

Ma la crescita dell'euroscetticismo riguardò in particolare il partito conservatore. In seguito alla nascita dell'Unione Europea si creò una frattura tra euroscettici ed europeisti. Tra il 1997 e il 2005 il partito fu guidato da William Hague, Iain Duncan Smith e Michael Howard. Si trattava di tre euroscettici convinti, in particolare Duncan Smith, che nel 1993 si oppose tenacemente alla ratifica del trattato di Maastricht.

Quando nel 2010 David Cameron fu nominato Primo Ministro l'euroscetticismo era ormai diventato un tratto distintivo dei conservatori. Esisteva comunque una distinzione tra euroscettici convinti ed euroscettici moderati. I primi erano contrari per principio all'integrazione europea e vedevano di buon occhio l'uscita della Gran Bretagna. I secondi erano invece favorevoli alla permanenza nell'Ue ma erano contrari ad ulteriori riforme che comportassero il potenziamento delle istituzioni comunitarie. Erano quindi disposti a rinegoziare i termini dell'appartenenza britannica, con l'auspicio di renderla meno onerosa e più flessibile.

Il fallimento della premiership di Theresa May, che nel 2016 fece campagna per la permanenza nell'Unione, ha comportato l'affermazione della corrente degli euroscettici convinti, di cui l'attuale Primo Ministro Boris Johnson è l'esponente di spicco.

Questo breve resoconto storico mostra chiaramente come la relazione tra Regno Unito ed integrazione europea sia stata problematica fin dal princìpio. Vedere nell'esito del referendum del 2016 una conseguenza della crisi economica, della globalizzazione e dell'immigrazione equivale ad adottare un approccio riduzionista, in quanto ignora 43 anni di storia delle relazioni tra Londra e la Cee/Ue. Ignora altresì l'evoluzione del partito conservatore, le cui pulsioni euroscettiche si palesarono già negli anni Ottanta. In conclusione, il radicale cambiamento della posizione dei conservatori nei confronti dell'integrazione europea è stato indubbiamente uno dei fattori politici che hanno contribuito alla Brexit.

 

CIVITAS EUROPA - DIVISIONE RELAZIONI INTERNAZIONALI

Massimiliano Palladini

 

Fonti

Bino Olivi, Roberto Santaniello, Storia dell'integrazione europea. Dalla guerra fredda ai giorni nostri, Il Mulino, Bologna, 2015.

"EU referendum: Did 1975 predictions come true?", bbc.com, 6 giugno 2016. Ultimo accesso 27 dicembre 2020.

David Willets, "How Thatcher's Bruges speech put Britain on the road to Brexit", ft.com, 31 agosto 2018. Ultimo accesso 27 dicembre 2020.

Peter Dorey, "Towards exit from the EU: the Conservative's Party increasing euroscepticism since the 1980s", Politics and Governance, 2017, Volume 5, Issue 2, pp. 27-40.

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