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Sanzioni: l'opzione atomica dell'Europa

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Dopo l’apparente esitazione dei primi giorni, l’Europa non è rimasta a guardare gli sviluppi del conflitto russo-ucraino. Italia e Germania hanno messo da parte le preoccupazioni dovute agli stretti legami economici con la Federazione Russa, sposando la linea dura e ricompattando il fronte UE. L’azione, coordinata con i paesi del G7, ha escluso da un giorno all’altro la Russia da una fetta importante dei mercati internazionali.

Il pacchetto di misure si dirama in quattro direzioni: il congelamento dei beni europei dell’oligarchia alla guida della Federazione, in primis il Presidente Vladimir Putin e il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov; il congelamento di tutti i progetti di investimento attivi presso aziende pubbliche russe e di tutte le operazioni di rifinanziamento della banca centrale russa, che non può più accedere alle sue riserve di dollari americani ed euro; l’esclusione delle principali banche commerciali russe dal sistema Swift, il sistema che permette di certificare le transazioni economiche utilizzato in più di 200 paesi, tagliandole fuori dai mercati finanziari mondiali; l’interruzione dell’esportazione di tecnologia (militare e civile), sistemi aeronautici, ma non solo, verso la Russia.

C’è un precedente che racconta quali siano gli obiettivi dell’Occidente. Nel 2012 alcune banche dell’Iran vennero escluse dal sistema Swift per minare la corsa del paese all’arma nucleare: per Teheran divenne difficilissimo vendere sul mercato i propri idrocarburi, gettando il paese nella crisi economica. Oggi, la storia si ripete: la decisione congiunta di sanzionare così duramente la Russia vuole colpire il rublo, le capacità di investimento dello stato russo, la possibilità di reperire capitali e vendere merci sui mercati internazionali. L’intenzione è quella di rispondere all’aggressione militare utilizzando la leva economica, provocando un periodo di crisi che possa minare il supporto a Putin e riduca a più miti consigli il Presidente russo.

Questa offensiva economica, però, ha dei costi anche e soprattutto per l’Unione Europea. L’Italia è particolarmente esposta, sia per i legami che le aziende nostrane hanno intessuto con Mosca, sia per la vitale fornitura di gas russo, che copre una fetta importante del fabbisogno energetico del nostro paese. La questione dell’interdipendenza non è esclusiva del caso italiano, ma si ripresenta in maniere differenti per tutti i paesi membri dell’Unione. Il nodo energetico è il più delicato da sciogliere, data l’eterogeneità delle strategie all’interno dell’UE. I Trattati di Roma provarono a catalizzare gli sforzi dell’Europa sull’utilizzo del nucleare per la produzione energetica, ma da allora il mercato comune si è concentrato esclusivamente sui costi dell’energia, lasciando la produzione alle competenze degli stati nazionali. Next Generation EU ha restituito una prospettiva di coordinamento in materia, facendo convergere l’Europa verso l’impiego delle energie rinnovabili per conseguire una maggiore indipendenza energetica.

Eppure, nel breve periodo, l’Europa rischia che la crisi energetica si protragga, rallentando la ripresa fino a fermarla. La Commissione, intanto, lavora su uno strumento per calmierare i prezzi dell’energia: basato sul modello di SURE, varato nel 2020 per contrastare l’aumento della disoccupazione, questo strumento significherebbe la conferma della soluzione del debito comune per finanziare le politiche economiche comunitarie. Per quanto, ancora, in un ambito relativamente ristretto.

Le misure adottate contro Mosca stanno già avendo un impatto devastante sia sull’economia reale sia su quella finanziaria. L’annuncio dell’esclusione di sette banche russe dal sistema Swift, in particolare, ha precipitato la popolazione nel caos. Dalla Federazione Russa arrivano scene che paiono uscite dalla Germania della Grande Depressione. I cittadini russi formano lunghe code ai bancomat, per tentare di prelevare denaro prima che il suo valore precipiti ulteriormente, in una dimostrazione da manuale di quella che viene chiamata “corsa agli sportelli”.

A spingere i prelievi è lo spaventoso crollo del rublo nei giorni precedenti: infatti, se una settimana fa con un euro si ottenevano 88 rubli, da un paio di giorni se ne ottengono circa 120. Alla spirale dell’inflazione si affianca il congelamento, provocato dal mix di sanzioni attivato dall’Occidente, di parte delle riserve in valuta estera detenute dalla banca centrale russa fuori dal Paese, che scalfisce le possibilità dei russi di difendere la propria valuta. Il Cremlino è stretto in una morsa finanziaria senza precedenti: ogni ora giungono notizie che informano sull’abbandono dell’economia russa da parte di diverse aziende internazionali.

In questo momento è impossibile descrivere con certezza l’evolversi dello scenario economico. Da un lato perché fare previsioni in un contesto con così tante variabili risulta controproducente, dall’altro perché il persistere delle sanzioni dipende dall’evoluzione del conflitto in Ucraina che finora, purtroppo, non sembra placarsi.

Si può, però, indicare lo scenario peggiore per tutte le parti coinvolte, UE compresa: quello del protrarsi del conflitto per mesi, con tutta la dote di morti e disperazione che inevitabilmente trascinerebbe con sé. L’Europa è ora impegnata a mantenere in essere le sanzioni almeno fino alla cessazione dell’aggressione russa: se questa dovesse continuare, l’economia della Federazione Russa subirebbe effetti devastanti ed irreversibili. Ma anche l’Unione Europea e i suoi Stati membri si troverebbero a fronteggiare effetti negativi di ampia portata, con conseguenze imprevedibili sull’unità del fronte comunitario.

L’aggressività della Russia ha rafforzato la coesione degli europei, mostrando il volto di un’Europa capace di collaborare con coordinazione e intesa mai viste nella storia. Starà alle istituzioni comunitarie e ai governi nazionali il difficile compito di mantenere l’equipaggio unito nella tempesta che sta per investire il continente.

 

Andrea Scipione, Riccardo Raspanti

CIVITAS EUROPA - DIVISIONE ECONOMIA

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