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Ripercorrendo il processo di integrazione - Parte cinque: "La CEE e gli anni Settanta".

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Nel decennio successivo alla firma dei Trattati di Roma, la CEE si interpone come cuneo tra le due superpotenze e comincia a tessere legami commerciali con diverse aree del mondo. Gli anni Settanta portano con sé grandi sfide: la crisi del petrolio e l’allargamento della CEE rendono necessario aggiornare i trattati.

1967: I primi 10 anni dei Trattati di Roma e l’entrata in vigore dell’Atto Unico Europeo.

I dieci primi anni di esistenza della CEE sono stati caratterizzati da una fase di espansione che in cui venivano stabiliti dei rapporti sempre più stretti con alcuni Stati che, in qualche modo, desideravano aderire al progetto comunitario. L’Austria, la Danimarca, la Grecia, la Norvegia il Regno Unito e la Spagna seguivano con attenzione gli sviluppi di una Comunità che aveva delle ottime prospettive di crescita al suo orizzonte.

La costituzione del mercato comune europeo e l’instaurazione di un’area di libero scambio contribuivano a rafforzare il commercio in senso multilaterale e facilitava la convertibilità delle valute. Allo stesso modo, sia la CEE sia l’EURATOM erano considerate da Washington come strutture utili a rafforzare la Comunità atlantica. D’altro lato, la CEE iniziava a essere vista di buon occhio anche da Mosca che aveva smesso di giudicarla come una come una costruzione ad arte dell’Imperialismo in chiave anticomunista. Con uno sguardo più disteso nei suoi confronti, Chrusciov iniziava a considerarla come una realtà con la quale dialogare, cooperare e creare spazi di cooperazione.

Con una particolare di combinazione di prudenza e timidezza e ribadendo in continuità la propria lealtà al Patto atlantica, l’Europa si riaffacciava come un attore di riferimento nella politica globale. Una volta accettata da Mosca, si poteva sperare che essa rappresentasse un ponte di incontro e di distensione tra Est e Ovest. Allo stesso modo, essa stringeva degli accordi bilaterali con diverse realtà al Sud del mondo.

L’auspicio enunciato da Kennedy e Hallstein nel 1961 iniziava a rendersi concreto pochi anni dopo. Nel continente africano, erano già stati messi in atto degli accordi con la Nigeria ed erano in corso trattative con Kenya, Marocco, Tanzania, Tunisia e Uganda. Si erano realizzati anche degli accordi di cooperazione con alcuni Stati dell’America Latina.

Il 1° luglio dello stesso anno entrerà in vigore l’Atto unico europeo. Firmato dai “sei” nell’aprile del 1965 a Bruxelles, questo Trattato istituisce un Consiglio Unico e una Commissione per le tre diverse comunità europee. Nell’articolo 4, esso istituzionalizzava anche il Comitato dei rappresentanti permanenti con la funzione di preparare i lavori del Consiglio ed eseguire i mandati affidati da quest’ultimo.

Nella realtà dei fatti, l’Europa rimaneva divisa tra Est e Ovest e all’interno di essa lo era anche la Germania. Non si eludeva il bisogno di accelerare il dialogo continentale e incentivare la cooperazione. Al di là delle altre tensioni sul versante del Sudest asiatico, nel 1966 la stabilità del continente europeo rimaneva la priorità nella politica estera degli USA e, a tale riguardo, l’amministrazione Johnson procedeva all’approvazione del Trade Expansion Act nel 1968[1].

Il consenso sull’Europa veniva consolidato anche nel dibattito politico italiano. La possibile apertura della DC all’esperienza del Centro-sinistra dipendeva, in tutto o in parte, dall’accettazione dell’Alleanza Atlantica e del Processo di Integrazione europea come pilastri fondamentali dell’Occidente. Si tratta di una svolta che venne attuata con gradualità all’interno del PSI e che finì per fratturare il “frontismo” che, per poco tempo, mantenne unita la sinistra italiana. La svolta euroatlantica intrapresa da Nenni non è stata esenta di ostacoli e resistenze all’interno dei socialisti ma nel lungo periodo sarebbe diventata uno dei punti di forza del PSI che iniziava a progettarsi in una dimensione più europea.

Se, da una parte, nasce il primo governo Moro con la partecipazione dei socialisti ormai aderenti al processo di integrazione, dall’altro, sin dal 1962, nel PCI si forma un dibattito interessante che, per mano di Giorgio Amendola, mette in discussione la ferrea posizione anti-comunitaria del PCI e apre, lentamente, a una prospettiva più europeista.

 

Gli anni ’70: un decennio di riforme e di allargamento.

L’impegno economico, strategico e militare di Washington nei confronti dell’Europa sarebbe andato avanti anche durante l’amministrazione Nixon. Ma dagli USA proveniva anche la richiesta di un maggior contributo agli oneri dell’Alleanza Atlantica allo scopo di rimediare gli squilibri tra gli Stati Uniti e gli alleati europei. Dall’altra sponda dell’Atlantico si insiste anche per agevolare l’adesione di Londra alla CEE, riconosciuta a sua volta come la più grande esportatrice e importatrice del mondo.

Gli anni Settanta apriranno con sé una fase di riforme e di allargamento nel percorso di integrazione. Riforme istituzionali e finanziarie saranno avviate a partire dal 21 aprile 1970, data in cui il Consiglio decide di sostituire il sistema finanziario delle Comunità fondato su contributi statali con un sistema di finanziamento autonomo. Si firmerà così, un giorno dopo, il Trattato di Lussemburgo che modifica delle disposizioni in materia di bilancio ed entrerà in vigore il 1° gennaio 1971. In esso, vengono concesse al Parlamento europeo una serie di poteri di bilancio e si riconoscono i prelievi agricoli e i dazi doganali come le due fonti principali di risorse proprie della Comunità europea[2].

Qualche anno dopo, il 22 luglio 1975 viene firmato il Trattato di Bruxelles, il quale entrerà in vigore il 1° giugno 1977. Con esso viene creata la Corte dei conti e il parlamento ottiene i poteri di respingere in blocco il bilancio.

Introducendo delle modifiche ai Trattati di Roma, questi due Trattati danno vita alla condivisione del Potere di bilancio tra consiglio e parlamento.

Un'altra riforma da sottolineare è quella introdotta con il Trattato che modifica il Protocollo sugli Statuti per la banca europea degli investimenti. Firmato il 10 luglio del 1975, esso entrerà in vigore il 1° ottobre 1977 e conferisce ai governatori della banca il potere di modificare la definizione dell’Unità di conto e di stabilirne il metodo di conversione rispetto alle monete nazionali.

Queste riforme di bilancio sono state eseguite in una fase molto delicata della Politica mondiale. Nel 1973, un nuovo conflitto Israelo-Arabo-Palestinese avrebbe destabilizzato gli equilibri internazionali. A differenza delle altre controversie in Medioriente, questa sarebbe stata accompagnata dall’aumento dei prezzi del greggio con il quale i Paesi produttori volevano, da un lato, contestare il sostegno occidentale all’Israele e, allo stesso tempo, la fissazione di nuovi prezzi. Questa crisi ha prodotto una frattura tra gli Stati Uniti e i Paesi della Comunità Europea. Mentre Washington spingeva per la creazione di un fronte unico, gli Stati europei dialogavano in parallelo con i Paesi arabi. Fu proprio il dialogo euroarabo a incentivare diverse critiche da parte di Kissinger, il quale contestava l’incapacità della CEE di agire in modo coeso di fronte a una crisi che riguardava tutti.

Per quanto riguarda la fase di allargamento che gli anni Settanta portarono con sé, entreranno a far parte della CEE la Danimarca, l’Irlanda e il Regno Unito. La loro entrata sarà effettiva il 22 gennaio 1972 con la firma del Trattato di adesione in una cerimonia celebrata al Palazzo Egmont di Bruxelles. Il Trattato entrerà in vigore il 1° gennaio 1973 e trasformerà la CEE nella più grande potenza economica mondiale con una popolazione di 260.000.000 abitanti. L’ondata di questo allargamento contagia alcuni Paesi dell’EFTA come la Finlandia il Liechtenstein, il Portogallo, la Svezia e la Svizzera, i quali decidono di associarsi e allargare così il libero scambio a più aree dell’Europa.

L’allargamento suscita particolare interesse ad Est. Anziché condannare, Mosca ne prende atto con aria di rassegnazione e auspica che la CEE sia in grado di interloquire con i membri della COMECOM. D’altra parte, benché gli USA rimangano ispiratori in primo piano dell’integrazione europea, Kissinger avverte sull’ostilità che si pone di manifesto con un mercato unico che, a suo avviso, risulta aperto agli Stati mediterranei e africani ma ostile agli Stati Uniti. Dinanzi alla crescita della CEE, gli USA iniziano a sollecitare un maggior equilibrio tra gli alleati.

 

Nel prossimo episodio verrà trattata la peculiare situazione interna dell’Italia tra la fine degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta, e del suo rapporto con l’Europa durante questo periodo travagliato.

 

Estefano Soler

CIVITAS EUROPA - Divisione Relazioni Internazionali

 

Note:

[1] Questo accordo si pone in continuità con quello proposto dal suo predecessore nel 1962 e con il Kennedy Round e il suo scopo era quello di favorire i rapporti economici interstatali.

[2] Decisione 70/243/CECA, CEE, Euratom del Consiglio relativa alla sostituzione dei contributi fi nanziari degli Stati membri con risorse proprie (21 aprile 1970).

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