Next Generation EU: un'occasione per rinnovare le politiche attive al lavoro
È sul tavolo l'approvazione del fondo Next Generation EU, precedentemente conosciuto come Recovery Fund. Approvazione incerta vista la minacciata opposizione di Polonia e Ungheria, che potrebbero far saltare il banco sulla clausola relativa al rispetto dello stato di diritto.
Altri due strumenti fondamentali sono già stati messi in campo dalla Commissione. In primo luogo, gli stati membri possono contare sulla Banca Europea per gli Investimenti (BEI), che si occupa di finanziare progetti di investimento ritenuti validi dalla Commissione e assisterà finanziariamente lo sforzo dei governi per uscire dalla crisi. Il secondo strumento è il meccanismo SURE, che ha già collocato la prima tranche di 10 miliardi di euro nelle casse pubbliche italiane: l'Italia riceverà altri 17 miliardi nel 2021, attestandosi come il principale beneficiario di questo fondo. I miliardi di SURE sono destinati a sostenere le politiche di sostegno al reddito dei lavoratori, che ne tutelino anche il posto di lavoro nel contesto di emergenza attuale.
Come accennato, il fondo SURE è pensato principalmente per sostenere i lavoratori che sono finiti in cassa integrazione a causa della pandemia. Di certo la maggior parte di questi fondi verrà impiegata per sostenere direttamente i disoccupati, ma quella di SURE non può essere l’unica strada da seguire. Potrebbe essere adeguato approfittare anche di Next Generation EU, visto che gli investimenti in capitale umano rientrano nei possibili impieghi di parte di questi fondi.
Considerando i 27 miliardi del fondo SURE e una parte dei fondi del Next generation EU, è possibile pensare a un rinnovamento totale delle politiche attive al lavoro, che in Italia si sono mosse in direzione degli standard europei esclusivamente per quanto riguarda durata e quantità degli aiuti finanziari al disoccupato, senza seguire gli approcci continentali di sviluppo del capitale umano e, anche per motivi costituzionali, della flexicurity.
Lo sviluppo di capitale umano, dagli studi di Gary Becker in poi, mostra chiaramente il suo potenziale come creatore di occupazione. La proposta di riforma si dovrebbe concentrare sulle politiche attive del lavoro, che programmano un futuro stabile per il lavoratore occupandosi della sua formazione, mentre lo Stato si fa temporaneamente carico della sua sussistenza.
Nel caso del Reddito di Cittadinanza, l'approccio è quello di una labile coordinazione tra offerta e domanda di lavoro, aggravato dall'alimentazione dell’avversione allo spostamento da parte del lavoratore. Una rinnovata politica attiva del lavoro dovrebbe mirare a riequilibrare il mismatch delle competenze che impedisce a chi rimane senza impiego di trovarsene un altro. Il gap da colmare sarebbe minimo per quanto riguarda i lavoratori qualificati, che possono già utilizzare autonomamente diversi strumenti (ad esempio, LinkedIn) per comprendere quale sia la domanda relativa alle proprie competenze.
La problematica riguarda soprattutto i lavoratori underskilled. In questi casi non è solo una questione di banche dati che non comunicano efficacemente per ricollocare l’individuo che ha perduto il lavoro, come vorrebbe fare intendere la politica che ciclicamente presenta come soluzione immediata un algoritmo di ricerca differente. E’ proprio una questione di mancanza dei mezzi per formare le qualità richieste. I lavoratori, infatti, avrebbero bisogno di seguire dei corsi formativi, più o meno in linea con il lavoro precedente, per potersi adeguare al profilo di lavoratore ricercato, in un luogo di lavoro più o meno vicino al luogo di residenza del lavoratore. Queste dimensioni dipendono dall'ampiezza del'offerta di lavoro e dalla tipologia di richieste di competenze.
Tramite i fondi SURE e Next Generation EU si potrebbe finanziare la fornitura di costi, tramite voucher controllabili dai lavoratori e spendibili per dei corsi idonei secondo le competenze richieste, in modo da eliminare i possibili azzardi morali delle imprese e del settore pubblico che potrebbero favorire un certo fornitore di corsi in caso di decisione imposta dell'idoneità.
Per evitare la creazione di monopoli si lascia quindi al lavoratore la scelta del corso, tramite un voucher spendibile esclusivamente per corsi considerati idonei dall'offerta per quanto riguarda le competenze, e dal settore pubblico come regolamentazione del servizio offerto. In questo modo il lavoratore potrebbe effettivamente passare attraverso la cassa integrazione e l'ufficio di collocamento per come sono stati progettati: un temporaneo aiuto nel primo caso, e un mezzo di avvicinamento del lavoratore poco qualificato all'offerta di un settore in cerca di uno specifico tipo di competenza, nel secondo.
Dario Marino
Collaboratore esterno - CIVITAS EUROPA
Torna al blog