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La “Alternativa” è qui per restare

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Vieni da chiedersi: per quale motivo? Dopotutto, il partito tedesco sembra giungere quando già il ghiaccio è stato rotto, seguendo la rotta tracciata da Rassemblement National e Fratelli d’Italia, i due giganti della destra nell’Europa Occidentale.

RN ha conquistato il primato alle elezioni europee, prima che il cordon sanitaire - che in questi giorni mostra qualcosa di più di una sfilacciatura - lo isolasse nuovamente. Fratelli d’Italia guida la maggioranza di governo ed esprime la prima Presidente del Consiglio donna della storia.

Al confronto, la conquista del Land della Turingia pare poca cosa: tra i Landër e le Città Stato tedesche, l’economia della Turingia figura al tredicesimo posto (su sedici). E poi, AfD non ha alleati con cui costituire una coalizione di governo. Tanto clamore, quindi, sembra non trovare giustificazione nella consultazione elettorale in sé.

Genera sicuramente riflessioni il passaggio repentino da un governo guidato da quella che - prima della scissione - era Die Linke, a uno guidato da un partito all’opposto nello spettro politico. Riflessioni per la SPD, partito che guida un governo federale sempre più in crisi ed alleata della Linke in Turingia. Riflessioni per la CDU/CSU, che continua ad inanellare trionfi elettorali e dovrà preparare una posizione comune (date le divisioni interne in materia) sui rampanti estremisti di AfD, qualora, come probabile, si dovesse trovare a formare un nuovo esecutivo. Ad Erfurt come a Berlino.

Se si volessero esplorare evocative ragioni storiche, si potrebbe dire che la Turingia fu tra le aree in cui attecchì prima la pervasiva ideologia nazional-socialista. Fu qui, infatti, che nel 1929 il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori ottenne per la prima volta responsabilità di governo nella persona di Wilhelm Frick, ministro dell’Interno e della Cultura Popolare del Land. In quel momento, il partito di Hitler era tra le forze politiche più piccole nel panorama tedesco. Solo quattro anni dopo avrebbe assunto la guida della Germania.

La scalata di AfD è rilevante in primo luogo come fenomeno sociale. Il partito è un punto di arrivo per la tradizione neo-nazista che - a differenza di quella neo-fascista italiana - ha conosciuto una costante repressione da parte delle istituzioni democratiche. Ma, allo stesso tempo, ha imparato a camminare sull’orlo del precipizio con un piede davanti all’altro: attento a tendere la mano (o il braccio, più propriamente) al proprio zoccolo duro, senza compiere passi falsi a livello costituzionale.

La sua nascita, nel 2013, è legata ad una retorica anti-UE, anti euro e fortemente critica della Germania di Angela Merkel. Sotto questa bandiera, come spesso accade, si sono riuniti i più disparati movimenti politici. Ma, soprattutto, l’anti-europeismo e la retorica anti-establishment hanno consentito di occultare le sfumature più estreme del proprio pensiero.

Questa è la ricetta vincente per sviluppare un seguito nell’età della perma-crisi: nascondere il substrato ideologico sotto la patina populista, fino al momento di istituzionalizzarsi. A quel punto, le tendenze neo-naziste fanno parte di un pacchetto di proposte, una punta d’aceto nella ricetta per cambiare il futuro della propria nazione che l’elettorato è disposto ad ignorare.

AfD ha avuto la pazienza necessaria. Si è mossa con cautela, puntando sulla comunicazione social e scommettendo su un elettorato giovane, mobile, difficile a farsi catturare dai partiti tradizionali. In Germania la sinistra e i verdi stanno perdendo terreno nella battaglia generazionale proprio a favore di AfD.

Locandine disegnate dall’intelligenza artificiale, reels, tiktoks, memes: sono queste le armi affilate a disposizione del partito. Il messaggio da veicolare è prettamente identitario: ad una generazione dispersa nell’info-sfera, incerta del proprio futuro, vendono un pacchetto nuovo. Questo include la retorica anti-migranti e contraria su basi razziali al multiculturalismo, ma anche quella che racconta il resto dell’Unione Europea come grande parassita del benessere tedesco.

In mezzo viene gettata la prospettiva di crescita economica derivante dal recupero della sovranità e dal deciso rifiuto di ogni regolamentazione del mercato basata sul contrasto al cambiamento climatico, la cui esistenza è negata decisamente. AfD parla di futuro come pochi partiti nello spettro dell’estrema destra.

Infine, arriva la punta di aceto. Che, per alcuni giovani, ha il sapore del migliore dei vini, come dimostrano i video su TikTok dove cantano “Deutschland den Deutschen, Ausländer raus!”. Sulle note, ironicamente, di una canzone di un DJ italiano, con il titolo francese e il testo in inglese.

Non è questione di coerenza, ma la dimostrazione del radicamento di certe idee nella mente di una fetta di giovani tedeschi. AfD ha sdoganato la retorica nazionalista e neo-nazista sotto le mentite spoglie di un ritorno all’orgoglio tedesco. Il partito rifiuta ogni forma esteriore di vergogna e ammenda per il passato del paese. Il periodo nazista è spesso etichettato come un brandello irrilevante nella storia del paese: pochi anni che non dovrebbero definire così profondamente l’identità tedesca di oggi. AfD non è per il distanziamento, ma per la rimozione.

Di certo Bjorn Hocke, che guida AfD in Turingia, preferisce il citazionismo. Più di una volta ha utilizzato lo slogan nazista “Tutto per la Germania” nel corso dei suoi comizi o in eventi di partito, commettendo reato secondo la legge tedesca. Hocke, a guardarlo, è un misto tra un nazista e un pastore di una qualche megachurch americana. Non esita a difendere Hitler o a criticare il memoriale dell’Olocausto a Berlino, ma lo fa sempre cautelandosi.

Proprio come i pastori americani succitati, si vende come colui che ha l’onere di mostrare scomode verità ai propri seguaci. Il suo posizionamento politico non appare più come una scelta, ma come una naturale conseguenza dell’essere portatore di verità. La sua corrente è la più radicale all’interno di AfD, ed è anche la prima a vincere. Nella visione che ha proposto agli elettori serpeggiano elementi di complottismo, rivolti in particolare verso i migranti e l’Unione Europea.

Ma la scalata di Hocke è stata favorita anche dalle mosse nel resto dello scacchiere politico: la SPD è ai minimi storici, così come i Grünen. I liberali boccheggiano, mentre la CDU sfrutta la paura dell’elettorato anti-fascista per ottenere consensi, tenendo allo stesso tempo un atteggiamento sempre più ambiguo verso la collaborazione con AfD.

E’ inutile girarci attorno: AfD è un partito nazionalista di estrema destra nel cuore stesso dell’Europa. Le loro idee puntano ad una Germania nazionalista, etnicamente omogenea, disposta a collaborare con i partner europei solo in un rapporto di sovra-ordinazione. Una possibile collaborazione con una CDU/CSU sempre più spostata a destra non è un’ipotesi peregrina, ed il lavoro fatto per allargare la base elettorale giovane porterà nuovi frutti nell’immediato futuro. Anche perché, per i partiti estremisti, ogni vittoria legittima la campagna successiva.

Nel breve periodo, AfD è l’unica concreta minaccia al proseguimento dell’integrazione europea, il cui baricentro è la collaborazione tra Germania e Francia. Berlino è essenziale all’Europa unita. Ma anche l’Europa unita è essenziale alla Germania, e questo i cristiano-democratici dovranno tenerlo bene a mente.

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