Il Montenegro guarda a est ma non dimentica l'Unione Europea
Milo Djukanovic, attuale Capo di Stato montenegrino.
Le elezioni parlamentari montenegrine, svoltesi il 30 agosto del 2020, hanno provocato un vero e proprio terremoto politico nella piccola nazione balcanica. Il Partito Democratico dei Socialisti del Montenegro (DPS), al potere sin dal 1991 (ben prima dell’indipendenza raggiunta nel 2006) e guidato da Milo Djukanovic, attuale Capo di Stato e più volte Primo Ministro, è stato sconfitto da una variegata coalizione di partiti politici dell’opposizione. Il DPS, pur piazzandosi al primo posto, non è andato oltre il 35 per cento dei voti e 30 seggi sugli 81 del Parlamento montenegrino. Subito dietro è giunta l’alleanza di destra, filoserba e filorussa denominata Per il Futuro del Montenegro, con 27 scranni ed in seguito i centristi della Pace è la Nostra Nazione, 10 seggi e poi gli ecologisti di Azione di Riforma Unitaria con 4 scranni. Le opposizioni, unite principalmente dal desiderio di rovesciare Djukanovic più che da reali similitudini ideologiche, sono riuscite a disarcionare la classe dirigente del Paese grazie alla risicata maggioranza di 41 seggi. Zdravko Krivokapic, leader di Per il Futuro del Montenegro e candidato designato alla posizione di Primo Ministro, ha invitato i movimenti, che hanno espresso l’intenzione di formare un governo tecnocratico, ad essere uniti.
Le priorità del futuro
Milo Djukanovic si è inizialmente rifiutato di concedere la vittoria agli avversari ma si è poi dovuto arrendere di fronte all’evidenza dei fatti. Il rischio, per il Montenegro, è quello di perdere l’orientamento filo-europeo ed atlantista che ha caratterizzato le sue politiche negli ultimi anni. Il Paese ha fatto il suo ingresso nell’Alleanza Atlantica (NATO) nel 2017 e dal 2012 è impegnato nelle trattative con Bruxelles per entrare a far parte dell’Unione Europea. I leader dell’opposizione hanno siglato un accordo di coalizione, il 9 settembre, per finalizzare la formazione dell’esecutivo e per rassicurare i partner internazionali sui loro piani geopolitici. L’intesa prevede il rispetto di tutti gli obblighi internazionali assunti dalla precedente amministrazione, tra i quali ci sono il rafforzamento dei rapporti con la NATO e la velocizzazione delle riforme necessarie per essere ammessi nell’Unione Europea. Aleksa Becic, a capo di La Pace è la Nostra Nazione, ha dichiarato che, “questa è la prova che questo governo sarà pro-europeo e pro-occidentale e che non ci saranno cambiamenti”. Le priorità dell’esecutivo saranno lo sviluppo economico e la lotta alla corruzione.
Il ruolo della pandemia
Sullo sfondo c’è l’emergenza sanitaria causata dal diffondersi del Covid-19: il Montenegro era riuscito a raggiungere gli zero contagi intorno al 24 maggio ma è poi stato colpito da una impetuosa seconda ondata a partire dalla metà di giugno. Il minuscolo Stato balcanico, popolato da poco più di 620mila persone, aveva registrato, al 29 settembre, oltre 10mila casi e 163 morti. Il numero di infezioni in corso ha invece raggiunto le 594 per 100mila abitanti, un numero impressionante. Le ricadute economiche sono pesanti: il Prodotto Interno Lordo dovrebbe crollare del 5.9 per cento nel 2020 rispetto al 2019 mentre il tasso di disoccupazione aveva raggiunto, già nel primo trimestre, il 16.3 per cento dal 15.1 per cento nel 2019. La crisi sanitaria in Montenegro ha in realtà coinvolto tutta la regione balcanica che, dopo aver contenuto la prima ondata, è stata travolta dalla seconda, che si è accanita con particolare durezza sulla Serbia e sulla Macedonia del Nord. La gestione dell'emergenza rischia di rivelarsi molto difficoltosa per quello che sarà il nuovo governo che potrebbe anche frazionarsi e cadere nel breve termine.
Djukanovic e la Serbia
L'(ex) leader incontrastato del Montenegro Milo Djukanovic ha costruito la sua agenda politica sull’allontanamento di Podgorica da Belgrado in seguito alle guerre balcaniche degli anni ’90. L’allontanamento è culminato nel referendum popolare che, nel 2006, ha sancito la separazione dalla Serbia. Nel 2008 Djukanovic ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo ma, nel corso degli anni successivi, è riuscito a non rompere i rapporti con Aleksandar Vucic, guida carismatica della Serbia ormai da diversi anni. A turbare le relazioni, nel 2016, c’è stato il presunto fallito golpe di ispirazione serbo-russa che avrebbe dovuto portare alla morte di Djukanovic ed alla sospensione del processo di avvicinamento alla Nato. Nel 2019 le dinamiche politiche del Montenegro sono invece state scosse dalla lotta ingaggiata da Podgorica contro la Chiesa Ortodossa Serba, che esercita una considerevole influenza politica (oltre che religiosa) sul Paese (per il 29 per cento serba). La maggioranza degli abitanti del Montenegro è di religione ortodossa e pur esistendo una Chiesa Ortodossa Montenegrina (non riconosciuta) quella Serba è un’istituzione molto prestigiosa. Il passaggio di una legge controversa ha provocato una frattura insanabile con i deputati vicini a Belgrado e con la stessa Chiesa. Una spaccatura che ha rischiato di trascinare il Paese nell’instabilità e che ha probabilmente determinato la sconfitta dello stesso Djukanovic.
I possibili scenari
Il futuro del Montenegro appare quantomeno incerto. La pandemia, che ha provocato una crisi economica mondiale, ha indebolito l’Unione Europea e potrebbe renderla, nel medio periodo, uno sbocco meno interessante per diverse nazioni balcaniche. Mosca, che può contare su stretti legami culturali, economici e turistici, con il Montenegro potrebbe sfruttare questa fase di stallo per intromettersi ed attrarre Podgorica nella propria sfera d’influenza o trasformarla in un vero e proprio “Cavallo di Troia” all’interno dell’Alleanza Atlantica. L’ottenimento di uno sbocco marittimo sul Mediterraneo è un obiettivo del Cremlino ed il Montenegro può contare su una posizione geografica strategica per controllare i traffici nel Mar Adriatico. A fare da tramite tra Podgorica e Mosca potrebbe poi essere Belgrado, che non nasconde le intenzioni di trasformarsi in una potenza regionale a tutti gli effetti. La Serbia esercita una considerevole influenza politica sulla vicina Repubblica Srpska della vicina Bosnia Erzegovina e sulle comunità serbe in Kosovo e nello stesso Montenegro. Vucic non intende, probabilmente, ricostruire quella che un tempo fu la Yugoslavia ma potrebbe affidarsi ad un nucleo di Stati-cuscinetto sicuri. La priorità di Belgrado, al momento, è però quella di risolvere una volta per tutte la questione kossovara e di definire le priorità della propria politica estera. La Serbia è interessata ad entrare a far parte dell’Unione Europea ma è decisamente ostile alla Nato ed occhieggia, con decisione, al Trattato per la Sicurezza Collettiva, l’alleanza militare guidata da Mosca ed attiva nei territori dell’ex Unione Sovietica.
Il Montenegro potrebbe comunque rivelarsi un territorio più ostico del previsto tanto per la Federazione Russa quanto per la Serbia. Le differenze ideologiche tra i movimenti dell’opposizione sono destinate a giocare un ruolo nei futuri equilibri politici del Paese mentre, sullo sfondo, c’è Milo Djukanovic. Il politico montenegrino è anche Capo di Stato della nazione ed il suo mandato non scadrà prima del 2023. Non è difficile immaginare che Djukanovic tenterà, in tutti i modi, di far collassare l’alleanza delle opposizioni per ritornare al potere o che queste ultime cerchino di rimuoverlo con un voto del Parlamento. Bruxelles, che ha ancora molte carte da giocare, potrà influire in un senso o nell’altro sulle possibili evoluzioni dello scenario e condizionare le priorità e gli obiettivi montenegrini supportando, ad esempio, gli schieramenti politici più moderati. Bisognerà vedere, però, se le intenzioni ed i tempi dell’Unione Europea coincideranno con quelli del Montenegro.
Andrea Walton
Collaboratore esterno - CIVITAS EUROPA
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