Il Grande Paradosso: il Recovery Fund e l’Europa nella percezione degli italiani
Lo European Economic Recovery Plan sta finalmente prendendo forma, dopo mesi di progettazione degli strumenti, di estenuanti contrattazioni e discussioni tra gli Stati Membri. Sarà decisiva la votazione sul Recovery Fund in sede di Consiglio Europeo, con ventitré paesi dichiaratisi a favore dell’istituzione del fondo, a fronte di quattro (Austria, Olanda, Danimarca e Ungheria) che hanno manifestato disapprovazione sia per le risorse previste, sia per l’utilizzo di trasferimenti agli stati.
Per l’Italia, invece, il piano europeo non può che essere valutato favorevolmente: gli interventi della BCE, l’alleggerimento del MES e la creazione del Recovery Fund sono le risposte dell’Unione Europea ad una crisi che investe in pieno l’economia reale e, quindi, richiede che gli stati sostengano le aziende e i lavoratori, investendo per rilanciare la produzione.
Il Recovery Fund, in particolare, costituisce il nucleo del programma di ricostruzione: per la prima volta la Commissione Europea emetterà titoli di debito europei per finanziare la ripresa. Dei 750 miliardi di dotazione, l’Italia sarà la prima beneficiaria, ricevendo circa 171 miliardi di euro (di cui 80 miliardi come trasferimenti e 91 miliardi sotto forma di prestiti). L’erogazione dei fondi sarà condizionata, di volta in volta, alla presentazione di progetti esaustivi da parte dei governi nazionali e all’individuazione di obiettivi di spesa per realizzare tali progetti. Per l’Italia l’occasione è storica: lo stimolo per il rilancio può essere accompagnato dal principio di quel processo di riforme che si attende da decenni.
Il contrasto con la percezione dell’Europa diffusa nel nostro paese è lampante. L’opinione dei cittadini italiani sull’operato della UE si è rivelata piuttosto negativa, fin dall’inizio dell’emergenza. Le esitazioni nella prima fase, le difficoltà a conciliare i contrasti tra gli stati nazionali, la vicenda del blocco delle esportazioni di materiali sanitari (poi risolta dall’intervento della Commissione): tutti questi fattori hanno contribuito ad alimentare la percezione di una UE disunita e lontana dai principi di solidarietà che dovrebbero animarla.
La svolta impressa dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen non è riuscita a conquistare le simpatie degli italiani, nonostante il deciso avvicinamento alle posizioni e alle richieste di intervento di Italia, Francia e Spagna. Persino il distacco della Germania dalle posizioni dei paesi più intransigenti non ha scalfito la convinzione che l’Unione Europea abbia peccato di solidarietà, radicata nei cittadini italiani.
E’ interessante notare come il topic della solidarietà tra membri trova d’accordo una grossa fetta di cittadini europei sul fatto che ci sia margine di miglioramento e che all’Unione andrebbero attribuite nuove prerogative (in questo caso, per quanto riguarda l’ambito sanitario)[1].
Le questioni su cui gli italiani si distaccano dal resto d’Europa riguardano la partecipazione stessa del paese al progetto europeo. Nonostante l’aiuto proveniente dalle istituzioni comunitarie, infatti, l’opinione dei nostri cittadini è peggiorata.
Il dossier del 19 maggio dell’Eurobarometro[2] riporta che il 52,5% degli italiani vorrebbe lasciare la moneta unica o addirittura la UE. Di questi l’8,6% lascerebbe l’Eurozona rimanendo nell’Unione, il 5,3% lascerebbe l’Unione ma terrebbe l’euro e ben il 38,6% abbandonerebbe sia la moneta che l’Unione. Solo il 42,9% degli italiani intervistati è favorevole alla permanenza del paese in entrambi i contesti comunitari.
La scarsa popolarità di cui gode l’Unione non riflette una generica sfiducia nell’azione delle istituzioni, dato che il 58% degli intervistati afferma di avere un alto livello fiducia nell’azione del governo Conte II (il 43% “abbastanza alto”, il 15% “molto alto”).
Non è difficile trovare le cause dell’inclemenza degli italiani verso le istituzioni europee. Il clima politico precedente alla pandemia si presentava già profondamente influenzato da idee euroscettiche o apertamente contrarie all’integrazione europea. La crisi del Covid-19 non ha fatto che esacerbare un sentimento più o meno latente.
L’euroscetticismo fa presa sui cittadini perché ne rivolge la rabbia e le delusioni verso un’entità sufficientemente lontana da essere un bersaglio sicuro. E’ un meccanismo che fa molto comodo a chi vuole rafforzare la propria immagine e raccogliere consenso, o coprire le mancanze della gestione nazionale della cosa pubblica. Non a caso, le idee euroscettiche hanno conosciuto grande successo tra i principali partiti odierni. Sono poche e sussurranti le voci che si levano in difesa dell’appartenenza dell’Italia all’Europa, in confronto al coro che condanna la UE senza possibilità di appello.
I cittadini italiani vedono le questioni europee attraverso il filtro dei media e della politica nazionali, che sistematicamente mette in cattiva luce l’Unione e le sue istituzioni. Questa dinamica non è esclusiva del nostro paese, certo, ma assume connotazioni grottesche quando davanti ad un piano di aiuti ed un’Europa solidale senza precedenti, l’opinione dei cittadini non fa che peggiorare.
La speranza è che, quando i risultati si presenteranno, l’Europa possa recuperare terreno nel cuore degli italiani. Per l’integrità dell’Unione ma, soprattutto, per il futuro del nostro paese.
Riccardo Raspanti
Note:
[1] Public opinion in the EU in time of Coronavirus crisis (26/05/2020) - https://www.europarl.europa.eu/resources/library/media/20200527RES79925/20200527RES79925.pdf
[2] Public opinion monitoring (19/5/2020) - EU Parliament; https://www.europarl.europa.eu/at-your-service/files/be-heard/eurobarometer/2020/covid19/en-public-opinion-in-the-time-of-covid19-20200519.pdf
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