“Food security” e “food safety”: la dicotomia tra Ue e paesi in via di sviluppo
La dicotomia tra i paesi dell’Unione Europea e i paesi in via di sviluppo sul piano del “food security” e “food safety”. Agire sulla dimensione esterna per completare il processo di integrazione europea.
Quando gli storici e gli scienziati politici analizzano il processo d’integrazione europea spesso dimenticano di prendere in considerazione la Politica Agricola Comune (Pac), riservandole un ruolo marginale. In realtà, contrariamente a quanto si possa credere, la Pac fu fondamentale per l'integrazione europea.
Uno dei “push-factor” che, dopo la Seconda guerra mondiale, spinse i politici a sedersi ad un tavolo per discutere di un progetto europeo fu la scarsità di cibo. Negli anni precedenti, durante la guerra, la popolazione europea sperimentò la carestia; in Italia, per esempio, l’apporto calorico medio di un uomo era di 1100 kcal al giorno. Questa difficile situazione ebbe un impatto forte sulle collettività e alla fine della Seconda guerra mondiale la necessità di ogni governo europeo fu quella di assicurare migliori condizioni di vita. Ma come garantire la sicurezza alimentare? La scelta fu quella di meccanizzare l’agricoltura e di sostenere gli agricoltori (all'epoca il 75% della popolazione europea era impiegata nel settore primario).
La soluzione a tutti i problemi sottolineati fu quella di integrare l’Europa dando vita ad una Comunità; ogni Stato dovette rinunciare a parte della propria sovranità e trasferirla ad un’autorità sovranazionale. Nel quadro di questa Comunità europea, la cosiddetta “prima Pac” fu creata nel 1962 con l’obiettivo di assicurare la disponibilità di cibo a tutti gli europei; per questo, la Pac assorbiva circa l’80% del budget europeo.
La Pac dell’epoca può essere rappresentata come un sistema complesso che fissava in anticipo i prezzi dei prodotti agricoli dei produttori europei; ciò era necessario per fermare l’esodo dalla campagna verso la città che si stava verificando.
La prima Pac risolse il problema del “food security”, ma i costi furono alti. Innanzitutto, la Pac non prese in considerazione quelle che sarebbero state le conseguenze sull’ambiente e portò ad un sovrasfruttamento del terreno. In secondo luogo, la Politica Agricola Comune contribuì a creare un sistema chiuso e protezionista per tutelare i contadini europei da quelli dei paesi extracomunitari con un meccanismo di dazi e imposte.
Inoltre, la Pac spinse verso una sovrapproduzione. I produttori furono incoraggiati a produrre sempre di più e il risultato fu una distorsione del mercato, in cui l’offerta dei beni alimentari superava la domanda ed enormi quantità di cibo furono distrutte. A partire dal 1970, la Comunità Europea cercò di affrontare questi problemi con una serie di riforme, tra le quali la riforma MacSharry, Agenda 2000 e la riforma Fischer.
Al giorno d’oggi, nei paesi dell’Unione Europea non si parla più di food security. Nel 2021, quando un consumatore europeo si reca al supermercato per comprare, per esempio, del formaggio, si trova davanti a una montagna di prodotti e l’unica domanda che si pone è: “questo formaggio è stato prodotto utilizzando latte del mio paese?”. Quindi, oggigiorno, il problema in Europa riguarda la qualità e il sapore del cibo e perciò si parla di “food safety”, termine che si riferisce alla preparazione del cibo – in ogni stadio della produzione – volta a garantire la salute del consumatore.
Una dicotomia sulla quale viene oggi spontaneo riflettere è quella che separa i paesi industrializzati, come i paesi dell’Ue, dai Paesi in Via di Sviluppo (Pvs) quali i paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina.
Leggendo un giornale, può capitare di imbattersi, a distanza di poche pagine, in due immagini completamente diverse. Da un lato ci sono fotografie di pastori europei che versano latte nelle strade come forma di protesta; dall’altro lato ci sono le immagini di bambini africani denutriti. È un dovere provare a capire perché nel Sud del mondo il problema continua ad essere il food security – termine che indica la necessità di garantire un’adeguata nutrizione. Ovviamente, in questi contesti sottosviluppati, il problema del food security è connesso a quello del food safety; non solo il cibo è poco, ma è anche di scarsa qualità o addirittura contaminato.
Per quale ragione è presente questa asimmetria globale? Il problema delle risorse alimentari nei Pvs deriva da una moltitudine di cause. Alla base vi sono delle condizioni naturali, quali il cambiamento climatico e i disastri ambientali; anche alcune condizioni sociali quali povertà e guerra hanno un ruolo rilevante. Ma ci sono altri aspetti che dovrebbero essere considerati.
Durante il periodo della colonizzazione, gli Stati europei imposero nei territori conquistati l’adozione di un sistema agricolo di “monocoltura”. Ogni colonia doveva specializzarsi nella coltivazione di una determinata pianta, la quale poi veniva esportata in Europa. A causa di questo sistema ingiusto, molti Pvs continuano ad essere dipendenti tutt’oggi dall’Europa.
In alcuni paesi come lo Zimbabwe e il Cile sono presenti industrie alimentari molto importanti, ma esse sono di proprietà di multinazionali europee, le quali decidono di delocalizzare in questi territori solamente a causa del costo delle materie prime e del lavoro.
Un altro fattore da considerare è connesso alle asimmetrie create dalla globalizzazione. Per sfruttare le opportunità offerte dalla globalizzazione, è necessario avere infrastrutture quali porti, autostrade e aeroporti, ma anche possedere solide strutture bancarie ed economiche. Tutto ciò manca nei Pvs, e per questo motivo si può affermare che la globalizzazione ha enfatizzato questa mancanza.
Ma cosa può fare l’Ue in concreto per provare a risolvere questa situazione di diseguaglianza? L’Unione ha elaborato numerosi programmi d’intervento per aiutare queste zone rurali del mondo che versano in condizioni di povertà. A tal proposito, l'Ue ha stanziato 3,5 miliardi di euro nel Bilancio a lungo termine (Mff) del 2014-2020. Inoltre, l’Unione collabora con molte agenzie dell’Onu impegnate da decenni nella lotta alla fame, quali la Fao. Nel periodo compreso tra il 2007 e il 2017, l’Ue ha investito 1,5 miliardi di euro nei programmi Fao.
Nonostante l’impegno internazionale ed europeo, il problema del food security e del food safety persiste nei Pvs. A mio avviso, sarebbe necessario implementare politiche più incisive. L’Ue dovrebbe intervenire, ad esempio, aumentando i fondi destinati allo sviluppo di sistemi agricoli moderni nei paesi del terzo mondo; sarebbe necessario anche eliminare il debito pubblico accumulato da questi paesi poveri verso i ricchi paesi dell’Unione Europea; inoltre, aumentare gli scambi commerciali ed economici potrebbe aiutare a risolvere la situazione.
Dunque, è importante che l’Ue si apra maggiormente agli altri mercati, eliminando o almeno riducendo le barriere economiche verso quegli Stati in cui la fame e la carestia continuano ad essere un problema.
Una sfida per le future riforme della Pac sarà riuscire ad includere tutte queste problematiche riguardanti le relazioni esterne. L’Unione Europea non sarà mai completamente integrata sul piano della dimensione esterna se continuerà ad essere un sistema protezionista, chiuso in sé stesso.
CIVITAS EUROPA – COLLABORATRICE ESTERNA
Maria Letizia Fiammenghi
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