Elementi della struttura geopolitica russa
Con 17.098.242 chilometri quadrati di superficie, 22.408 chilometri di confine terrestre con 13 Stati e con 37.653 chilometri di costa, la Russia non ha confini naturali che non siano i ghiacci artici.
La sua estensione geografica si sviluppa in senso longitudinale coprendo la quasi totalità della pianura sarmatica e della taiga siberiana asiatica oltre i monti Urali. La Russia è fra gli Stati più complicati da presidiare militarmente. La sua enorme estensione, frutto di una strategia territoriale - retaggio questo delle innumerevoli invasioni nomadiche per mano delle popolazioni turciche-mongole - ne aumenta da un lato la profondità strategica, l’unico vero asset difensivo di enorme spessore oltre alla deterrenza nucleare, ma dall’altro ne aumenta paradossalmente il senso di accerchiamento.
Un vantaggio-svantaggio che ha caratterizzato tutta la storia russa. In tempi di guerra si dimostra un asset difensivo di grande importanza passiva, in tempo di pace invece aumenta la paranoia di accerchiamento. Se da un lato dal suo collocamento geografico ne deriva una assenza di difese naturali e quindi una ossessiva ricerca di occupare preventivamente tutto il territorio e le popolazioni possibili - così da controllarne in anticipo eventuali invasioni verso il nucleo (cioè il bacino europeo che si estende dalla Carelia al Caucaso passando per le due capitali Mosca e San Pietroburgo) – garantendosi così una profondità strategica unica al mondo che ne ha reso impossibile la conquista da Napoleone a Hitler, dall’altro però questa enorme estensione ne ha ovviamente aumentato il senso di accerchiamento e la quantità di vicini a cui la Russia espone il suo confine meridionale.
La Russia nasce in nuce come piccola potenza europea che attacca per difesa, costruendosi negli anni una profondità strategica tale da garantire una supremazia territoriale e una influenza netta sul proprio “estero vicino”.
L’attacco preventivo è alla base dell’esistenza della Russia stessa. La sua aggressività è un retaggio storico che non dipende dalla forza della collettività russa o da una esplicita volontà imperiale, ma da una debolezza strutturale data dalla morfologia della sua geografia: perennemente soggetta ad infiltrazioni ed esfiltrazioni nemiche. Da qui nasce l’imperialismo russo: nasce come reazione alle avversità implicite del proprio territorio; nasce come effetto collaterale di una strategia difensiva portata al suo estremo opposto paradossale: l’endemica aggressività preventiva.
Venendo meno il controllo sul proprio estero vicino viene meno la matrice stessa della strategia russa e dato che le collettività si basano sulle percezioni più che sui numeri, va compreso come la perdita di egemonia lungo i confini mini le fondamenta stesse della collettività russa.
Come accennato prima, la Russia nasce europea, ma per via del suo imperialismo collaterale diventa eurasiatica. La sua espansione ad est degli Urali porta con sé un altro effetto collaterale oltre all’imperialismo: la sua dualità strutturale europea-asiatica che si esprime storicamente con pulsazioni che in certe fasi la spingono maggiormente verso l’animo europeo originario (vedesi Pietro il Grande) e in altre fasi la spingono verso l’animo asiatico della sua natura steppica (vedesi Gumilev).
Non si può trascendere nella nostra analisi da quella che Amedeo Maddaluno riporta nel libro “Geopolitica” come la “passionarietà” russa. La Russia è il paese più asiatico d’Europa e il più europeo dei paesi asiatici. Relegata ai margini dagli europei (dicesi volgarmente “russofobia”) e rinnegata come asiatica dagli asiatici, secondo cui la Russia è potenza coloniale europea insediata abusivamente nella sfera di influenza sino-giapponese, Mosca non può che erigersi a vettore a sé di potere.
Per natura vista come una potenza reietta e rinnegata da entrambi gli emisferi, la Russia non può che superare questa sua ambivalenza europea-asiatica con l’implementazione di una narrazione autonoma e dominante come un qualcosa di a sé stante: né europea né asiatica, la Russia è solo Russia, la Terza Roma, la Madre di tutti gli Slavi. Il misticismo panrusso, come riporta sempre Maddaluno, “è una componente imprescindibile per comprendere la mentalità dei policy-makers russi, che altro non sono che gli interpreti della Russia più profonda”.
Per comprendere meglio il misticismo intrinseco nella cultura collettiva russa che si rispecchia sulle scelte geopolitiche della classe dirigente, vale la pena ripercorrere la “passionarietà” del geopolitico e antropologo Lev Gumilev cercando di dargli una definizione: essa descrive la capacità dei popoli della steppa, intesi come collettività organiche viventi stanziate su un territorio, dal cui territorio riescono ad assorbirne la bioenergia, riecheggiando vagamente il concetto dicotomico di “kultur vs natur-volk” di ratzeliana memoria. In base alla capacità delle popolazioni di assorbire questa energia si sviluppano le fasi di ascesa e declino.
In conclusione, bisogna citare Aleksandr Dugin che procede sulle postulazioni gumileviane col pensiero neo-eurasiatico, razionalizzando la strategia russa in due direttrici, che possiamo anche chiamare “agende estere permanenti”.
Queste due agende sono il framework di quasi tutte le azioni di politica estera recente russa. La prima consiste nella già citata profondità strategica e la capacità russa di proiettare potere sul proprio estero vicino, mentre la seconda consiste nella costante ricerca di sbocco sui mari. Da Pietro il Grande che creò la nuova capitale a San Pietroburgo e cercò, fallendo, di trasformare la Russia in una talassocrazia, a Vladimir Putin che cerca nuovi sbocchi sul mare con l’annessione della Crimea e con la guerra in Siria per lo sbocco sul Mediterraneo dal porto di Latakia.
Detto ciò, per comprendere la declinazione strategica della Federazione Russa (cioè la tattica) è indispensabile capire come è strutturato il detentore massimo di questa tattica: le forze armate.
Segue un dossier sulle forze armate della Federazione Russa, che verrà pubblicato sul nostro sito nei prossimi giorni.
Alessandro Verdoliva
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