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Correnti, gruppi e leghe europee. Introduzione alle relazioni internazionali comunitarie

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Contrariamente a quanti molti credono, l’Unione Europea non è un blocco monolitico. Non è una federazione e neanche una confederazione: non ha quindi una propria politica o un proprio potere sovrano a sé stante sugli Stati membri, le sue politiche altro non sono che la somma delle politiche interne nazionali. Queste politiche nazionali si riflettono in toto sul funzionamento dell’Unione.

“Europa” è semplicemente un termine geografico non sufficiente per spiegare l’assetto politico del Vecchio Continente. Vi sono istituzioni europee a cui aderiscono la Russia e la Turchia, altre istituzioni di cui l’Italia è membro mentre Paesi come la Danimarca no. Vediamo quindi come, lungi dall’essere un organo sovrano dotato di poteri sovrani, quello che viene erroneamente definito come “Europa” è invece un intreccio di trattati e istituzioni nate da volontà sovrane in cui hanno luogo negoziazione e competizione politica. Perché si è scelto di competere dentro questi circuiti? Perché l’alternativa meno felice sarebbe stata quella di incanalare la competizione e le divergenze di interessi con guerre economiche o con guerre vere e proprie, scenario che avrebbe peggiorato le condizioni di vita di ogni cittadino del Vecchio Continente.

E’ quindi proprio la divergenza di interessi e la propensione al conflitto dei diversi attori che rende necessaria una maggiore integrazione europea, non il contrario.

Diversamente da quanto molti credono, il motivo reale per cui l’Europa continua ad esistere ed è sorta non è la solidarietà, bensì la rivalità. Partnership e non amicizia. Esattamente come in tutte le federazioni, anche se, come abbiamo già illustrato, l’Unione Europea non è una federazione dotata di poteri, bensì una somma di poteri nazionali riuniti sotto una organizzazione internazionale sui generis. Non ha appunto senso privare di sovranità e unire degli Stati che non avrebbero motivo di divergere e di confliggere, di farsi competizione sleale o di dichiararsi guerra. L’Unione nasce proprio in virtù del fatto che senza queste limitazioni reciprocamente imposte, il comportamento degli Stati sarebbe divergente e non collaborativo, così come spiegato in questa analisi.

Il rapporto istituzionale sotto l’egida dell’Unione Europea viene definito come “relazioni comunitarie”, cioè relazioni svolte sotto le istituzioni dell’Unione e in virtù di queste. Queste sanciscono la vita stessa dell’Unione. A metà strada fra le relazioni internazionali e le relazioni comunitarie vi sono le relazioni intergovernative che vengono istituzionalizzate tramite il Consilium dell’Unione Europea o l’eurogruppo.

Molto differenti sono invece le relazioni intergovernative fra gli Stati membri, ovvero il rapporto bilaterale a “tu per tu” fra Stati. In questo caso non si può parlare di relazioni comunitarie, bensì delle classiche relazioni internazionali, dette anche, relazioni intergovernative. Queste relazioni evadono dalle logiche comunitarie collaborative e ritornano ai vecchi paradigmi pre-comunitari. Purtroppo, questo tipo di relazioni è sempre più frequente, il cui risultato porta a una chiara inefficacia e in un indebolimento dell’Unione.

Spesso, e con effetti catastrofici, “relazioni comunitarie” e “relazioni intergovernative” vengono confuse. Il che attribuisce una responsabilità mal posta nei confronti di enti terzi, che poco c’entrano con l’accaduto.

Per capire meglio le relazioni intergovernative e come esse si suddividono in quattro macroaree, con questa analisi cerchiamo di fornire uno spettro più ampio possibile su quelle che sono le fratture, le correnti e le leghe che si sono formate in seno all’Unione ma che ne evadono i principi e le logiche.

 

La contraddizione delle alleanze. Il concetto di alleanza si pone concettualmente come schieramento di una parte contro un’altra parte. E’ la negazione dell’eguaglianza internazionale fra Stati e crea legami che tendono ad incentivare il conflitto, facendo venir meno la reciproca dipendenza che rende gli Stati eguali dinanzi all'ordine internazionale.

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VISEGRAD e gli Stati ex-sovietici.

Questo gruppo, composto da Cecoslovacchia (successivamente, separatamente), Ungheria e Polonia, nasce subito dopo il collasso dell’Unione sovietica di cui erano satelliti, ma prima dell’ingresso nell’Unione europea. Lo scopo della loro nascita stava proprio, oltre che nella condivisione di scienza, arte e cultura, nel cercare di fare blocco unico per richiedere con più forza l’ingresso congiunto nell’Unione europea.

Quando si parla di Visegrad, si fa erroneamente riferimento a tutto il blocco di Paesi ex-sovietici, mentre in realtà, Paesi come Romania, Bulgaria, Lettonia, Lituania ed Estonia, andrebbero menzionati a parte.

Mentre la Lega Neo Anseatica reca problemi di natura tecnica e politica, il gruppo è quello che sta dando più problemi ai valori europei. In modo più specifico, Polonia e Ungheria si distinguono per politiche ultra-nazionaliste ripudiando esplicitamente i valori dell’Unione a cui loro stessi hanno deciso di aderire.

Vi è però una differenza fondamentale, il gruppo Visegrad, così come gli altri Paesi satellite di Mosca come la Romania e la Bulgaria, hanno un motivo opposto per entrare fra le file degli Occidentali. Infatti, se lo scopo dell’Unione europea è quello di gradualmente trasferire sempre più sovranità dagli Stati nazione verso una sovranità federale europea, lo scopo dei Paesi dell’Est, gruppo Visegrad primo fra tutti, è esattamente l’opposto: cercare di riprendersi quella sovranità perduta per quasi un secolo durante il dominio sovietico. Se infatti, l’interesse geopolitico dell’Unione europea è quello di avere rapporti commerciali con la Russia, i Paesi dell’est (inclusi i paesi Baltici) tutto vogliono tranne che avere a che fare con l’ex egemone. In questo, si scorge come appunto gli Stati Uniti abbiano saputo sfruttare diligentemente questa frattura nel continente. I Paesi dell’Est oggi costituiscono una enclave in territorio europeo degli interessi di Washington in funzione anti-russa; nonostante Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia nutrano più miti consigli nei confronti di Mosca, acconsentono comunque alle mosse dell’Alleanza atlantica ospitando ben quattro basi militari.

Questi Paesi, affamati di sovranità e rivalsa, si affidano al cappello degli Stati Uniti (attraverso la NATO) per sopperire alle proprie carenze militari e garantirsi sicurezza ai confini, e al cappello di Bruxelles per sopperire alle proprie carenze economiche garantirsi un benessere economico mai visto nella loro storia. Il loro ingresso fu largamente spinto da Londra, che vedeva nell’allargamento ad Est un indebolimento del processo integrativo europeo, cosa che Londra ha sempre ostacolato. Per Westminster, i Paesi dell’est, non solo indebolivano il processo federativo Europeo, ma indebolivano anche la Russia, che si sarebbe ritrovata alle porte i propri ex-satelliti armati dalla NATO: ed è stato proprio così. A distaccarsi dalle posizioni tipicamente illiberali del gruppo Visegrad abbiamo la Bulgaria da poco membro dell’Eurozona. Sofia, nonostante presenti il reddito pro-capite più basso d’Europa e una delle più basse libertà di stampa, sta facendo grandissimi passi avanti grazie alla supervisione della MCV (Meccanismo di cooperazione e verifica). Insieme alla Romania, sono i due Paesi ex-sovietici più europeisti e vigorosi di integrazione, tuttavia il loro status economico particolarmente svantaggiato rispetto agli altri Stati Visegrad, li confina ai margini dell’Unione con Parigi ed Amsterdam che bloccano il loro ingresso nell’area Schengen. La Romania si colloca a metà fra i Paesi Visegrad e la Bulgaria, grazie alla sua posizione storicamente filo-egemone e filo-establishment, tuttavia la sua particolare condizione di corruzione cronica, seppur non esplicitata in una teoria illiberale come in Ungheria, la impedisce in una totale integrazione europea. I Paesi Baltici invece, Estonia, Lettonia e Lituania, portano con sé un eguale eredità storica e una eguale ricerca di sovranità, che però incanalano nella Lega Neo Anseatica.

 

LEGA NEO ANSEATICA: rigoristi e anti-integrazionisti.

L’addio di Londra Non si può parlare della nascita di questo gruppo, senza analizzare brevemente le politiche intergovernative britanniche: il deus ex machina dietro la dottrina che porta alla nascita, nel 2017, dei Neo-Anseatici. Londra, entra nel 1973 su consiglio del Foreign affairs (il ministero degli esteri). La strategia era geniale e in gergo viene definita “dominante”: in sintesi, qualsiasi sia la risposta dell’altro attore, chi attua una strategia dominante ricava comunque qualcosa di proficuo. La strategia nel breve termine era di ampliare il proprio bacino di utenze al mercato unico, il più grande mercato libero al mondo, esportando in primis i propri rinomati servizi finanziari con sede nella City di Londra. Nel lungo termine, lo scopo era quello di impedire il crearsi di un blocco federato di Stati europei dall’altro lato della Manica. Anche se quest’ultimo scopo non sarebbe stato raggiunto, avrebbero comunque continuato ad avvantaggiarsi dello spazio doganale europeo. Per capire le radici storiche di questo atteggiamento occorrerebbe un più approfondito studio della politica estera britannica e dei suoi rapporti intergovernativi ambigui nei confronti del Continente, che si protraggono da più di tre secoli, ma non è questa la sede idonea per una tale scrupolosa analisi.

Questo stare “un po’ dentro e un po’ fuori”, con un piede sull’Isola e un piede sul Continente, non è di certo una novità, motivo per cui Londra ha sempre posto clausole su clausole al processo integrativo: lo scopo era appunto essere dentro tanto quanto bastasse per influenzare le politiche europee e impedirne la federazione (grazie al potere di veto) ma mai troppo dentro da esserne influenzata. Nessuna collaborazione fra i servizi di intelligence, nessuna collaborazione sui sistemi bancari e sulle tassazioni unificate, nessuna collaborazione per il processo di creazione di una politica estera e di un esercito comune. La lista dei paletti imposti da Londra potrebbe andare avanti ancora per molto. L’interesse nazionale dei britannici non è mai stato quello di porre in essere una federazione europea (e in questo si potrebbe trovare una somiglianza col gruppo Visegrad) ma di entrare al tavolo dei negoziati per orientarli a proprio favore. Motivo per cui l’uscita del Regno Unito, in realtà indebolisce Londra e fortifica il processo integrativo europeo, su cui, sua Maestà, non avrà più voce in capitolo.

Lega Neo-Anseatica Questo gruppo raccoglie l’eredità, in formato continentale, della politica di Londra. L’idea nasce subito dopo la BREXIT per mano dei Paesi Bassi nel 2017: l’uscita di Londra dallo scacchiere comunitario avrebbe sbilanciato i poteri politici intergovernativi in seno alle relazioni comunitarie. Questo avrebbe comportato l’assenza di quel freno all’integrazione che Londra aveva finora rappresentato, nonché un rafforzamento della politica integrativa per mano di Francia e Germania, con l’ausilio di Belgio e Italia. L’Aja percepisce questo spostamento del baricentro del potere intergovernativo e chiama quindi a raccolta tutti quegli Stati particolarmente rigoristi e particolarmente scettici sul progetto europeo, cioè Irlanda, Svezia, Finlandia, Danimarca, Estonia, Lettonia e Lituania. Si tratta spesso di Stati con delle finanze ben in regola, poco dipendenti da aiuti esteri, fortemente privatizzati, con una equilibrata pressione fiscale. Questo gruppo di interesse, chiamato in nome di quella Lega di libero scambio del basso medioevo che abbracciava i Paesi dalla Manica al mar Baltico, fa come proprio un modello di Europa in cui vi debba essere un massimo scambio di merci ma un totale freno alle ipotesi di federazione. Possono definirsi rigoristi, proprio perché il loro approccio alla gestione pubblica si basa su forti politiche di privatizzazioni e di austerity: questa gestione pubblica deve restare nazionale, ed è alle singole nazioni che spetta la gestione delle proprie risorse. Si oppongono quindi agli eurobond, alla condivisione del debito e alla condivisione delle politiche fiscali: non intendono quindi pagare per i debiti dei Paesi mediterranei, tanto meno intendono dividere con loro la politica estera, la difesa e il Welfare State. L’interesse principale è far permanere lo status quo con una moneta unica forte (eccezion fatta per Danimarca e Svezia che non adottano la moneta unica) che permette loro di spaziare in tutti gli angoli dell’Unione cercando di limitare quanto più possibile una responsabilità fiscale e solidale comunitaria.

 

ASSE FRANCO-TEDESCA

Quest’asse è del tutto informale: a differenza del gruppo Visegrad e della Lega Neo Anseatica che hanno sottoscritto trattati formali di collaborazione, i rapporti fra Berlino e Parigi sono storicamente così longevi (nel bene e nel male) che finora non hanno necessitato di una formalizzazione.

Come più volte ribadito, la necessità di avere istituzioni con reciproca limitazione delle sovranità ha senso solo quando la rivalità è maggiore. A dimostrazione di ciò, troviamo l’Asse franco-tedesco, i due acerrimi nemici, le cui guerre e il cui sangue ha scandito la storia europea, oggi costituiscono la più solida roccaforte del processo federale europeo. La Germania, uno Stato che non vede la propria sovranità nazionale dal 1945 ad oggi è intrinsecamente permeata dai processi europei e non si può districare. La sua Costituzione non è stata scritta dai tedeschi ma dagli Alleati e la sua riunificazione è stata permessa dalle altre potenze mondiali solo se avesse rinunciato alla propria valuta nazionale, il Deutschemark, per essere integrata indissolubilmente all’Unione. L’Unione europea trova il proprio cuore federale nei paesi fondatori e in primis fra Parigi e Berlino, non si può oggi parlare di processo integrativo europeo senza far riferimento. Tuttavia, anche in questo caso, le azioni intergovernative hanno la meglio e nei momenti più difficili, la tendenza a deviare dalla collaborazione è forte. La Germania, pur non essendo un membro della Lega Neo Anseatica, è restia a cedere incondizionatamente la propria sovranità fiscale in favore dei mediterranei. La Francia continua dal canto suo a proseguire una propria politica di media-potenza mondiale schierandosi fortemente ancora oggi nelle ex colonie ed ex mandati (vedere Mali e Siria), non a titolo europeo ma a titolo proprio, andando a scalfire quindi quello che dovrebbe essere un coro unisono. Fu la Francia, nel 2005, ad arrestare il progetto di Costituzione europea, assieme ai Paesi Bassi. Il collocamento quindi dell’Asse Parigi-Berlino può definirsi perfettamente in mezzo: nulla ha a che vedere con il gruppo Visegrad; non può definirsi rigorista e anti-federale come la Lega Neo Anseatica, ma non può nemmeno definirsi instabile ed economicamente fragile come i Paesi mediterranei. I loro rapporti intergovernativi sono quelli che più si avvicinano a una azione comunitaria europea congiunta.

 

GRUPPO MEDITERRANEO e i PIIGS

Dalle crisi del 2008 e del 2011, PIIGS sta ad indicare, in modo al quanto dispregiativo, Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, accomunati da finanze pubbliche che lasciano a desiderare, economie a rischio di contrazioni economiche, che le rendono spesso bisognose di aiuti esterni. In questo, l’Irlanda, fa eccezione.

Nel 2013, l’Irlanda, dopo 3 anni di sacrifici e misure stringenti, esce formalmente dal piano di salvataggio. Il forte programma di austerità, un governo stabile ed un sistema di tassazione (12,5% sui redditi delle società) che attira a Dublino multinazionali quali Google, Facebook, Microsoft, Amazon e Apple che riescono a riavviare l'economia. La crisi ha indebolito il reddito dei nuclei familiari che continuano a presentare un indebitamento privato troppo elevato, il che le rende sistemicamente vulnerabili ad eventuali contrazioni. Così come il sistema bancario ancora sotto pressione con un rapporto tra credito deteriorato ed impieghi pari al 15%. Con una media europea del 5%. A livello inferiori solo la Grecia con un rapporto pari al 45% ed il Portogallo col 15,5%.

Secondo alcuni, andrebbe categorizzata come Stato non virtuoso per via della sua aleatorietà dei conti privati e la sua fragilità che si porta dietro dal 1921 ad oggi. Tuttavia, essa ricorre formalmente alla Lega Neo Anseatica per via delle proprie politiche, anche esse, neo-liberiste in linea con Paesi Bassi e Regno Unito.

Italia, Portogallo, Grecia e Spagna non sono né alleati né contravvengono al principio della non-alleanza dentro lo stesso ordine, il loro raggruppamento può essere definito come un “catch-all” in virtù di non essere né del gruppo Visegrad né della Lega Neo Anseatica. Questi Stati si ritrovano però sempre più spesso davanti a un comune destino. Oltre ad essere etnicamente e culturalmente legati dalla lingua e dagli usi greco-latini, portano con sé anche la tara del debito pubblico e delle inefficienze amministrative con pesanti ricadute sul tessuto economico sociale. Questo è de facto il ventre mollo dell’Unione europea, non per nulla è quello più attaccato dalle potenze extracomunitarie (come Cina, Russia e USA), sia con accordi bilaterali volti a strappare questi membri dall’Unione, sia con massicce campagne di disinformazione e di propaganda. La loro politica fiscale è improntata ad una ampia spesa pubblica e un alto indebitamento, eredità questa dell’epoca pre-moneta unica in cui questi Stati ricorrevano sovente all’inflazione per far ripartire l’economia. Ciò spiega la continua richiesta di flessibilità fiscale, richiesta questa, che mal viene digerita dagli Stati del Nord.

 

Cerchi concentrici: concetto che sta ad indicare una nuova struttura dell’Europa basata su gruppi di Stati che hanno raggiunto diversi livelli di integrazione. La risposta al dilagare di queste fratture, che costituiscono delle microalleanza in seno alla macroalleanza, è abbastanza vecchia, e risale ai tempi di Mitterand, Delors e Thatcher, negli anni 80. La soluzione fu denominata “Europa a cerchi concentrici”, cioè una Unione a diverse velocità in cui gli Stati che fossero pronti per una maggiore integrazione potevano eseguirla bilaterlamente o multilateralmente con altri Stati sulla stessa lunghezza d’onda: chi non voleva, ne restava fuori.

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Gli Stati membri dell’Unione europea occuperebbero il cerchio di diritto comune: l’appartenenza ai cerchi più ristretti implicherebbe una cooperazione rafforzata in base al Principio della cooperazione rafforzata in settori specifici all’interno dell’Unione. Nel 1989 Jacques Delors presentò questa idea nella cui formula, egli collocava al centro una unione di tipo federale; il secondo cerchio racchiudeva lo spazio economico europeo, mentre il terzo cerchio raggruppava gli Stati dell’Europa centrale ed orientale che erano legati all’Unione da un rapporto di cooperazione politica ed economica; un ultimo cerchio in cui si collocava una sorta di confederazione europea da integrare con il Consiglio d’Europa e con i paesi membri dell’OCSE. Mentre per le attività del primo cerchio va applicato il metodo comunitario per le altre può essere adottato il metodo intergovernativo. Se una Unione di questo genere avesse luogo, da un alto ci sarebbe il rischio di deriva centrifuga degli Stati forti che si arroccherebbero sulle proprie posizioni, ma avrebbe il vantaggio di dare più spazio di manovra a quelle economie (tante) che necessitano di una maggiore flessibilità. Si formerebbe quindi molto probabilmente un nucleo forte, costituito dagli Stati fondatori, eccetto i Paesi Bassi, seguiti dal bacino degli Stati mediterranei. Il rischio sta nell’ipotesi di una unione degli Stati Mediterranei senza l’appoggio di un nucleo forte costituito da Francia e Germania, in quel caso la deriva centrifuga sarebbe un pericolo serio e rischierebbe di tramutare il Vecchio Continente in un succulento banchetto per i falchi internazionali.

 

CIVITAS EUROPA – DIVISIONI CONGIUNTE

Dr. Verdoliva Alessandro

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