Afghanistan: una questione aperta (parte 1)
L’agosto 2021 è stato un mese drammatico per l’Afghanistan. In poche settimane, il popolo afghano ha assistito al ritiro completo delle forze NATO, da vent’anni una presenza fissa e ingombrante nel paese, e al trionfale ritorno al potere dei talebani dopo una rapida offensiva che ha sbaragliato l’esercito regolare.
Tutto il mondo ha visto le immagini che giungevano dall’aeroporto di Kabul: quello che doveva essere un ritiro ordinato si è trasformato in una corsa contro il tempo, ripresa in diretta dalle emittenti globali. Una corsa che, nonostante il miracolo logistico del ponte aereo messo in piedi dal comando alleato, racconta alla perfezione il fallimento delle due missioni NATO in Afghanistan.
Ora gli afghani e le afghane fanno i conti con il ritorno delle imposizioni dell’estremismo islamico nella loro vita, il presidente Biden fa i conti con le responsabilità derivanti dalla disfatta, l’Europa fa i conti con la preponderanza degli Stati Uniti nelle decisioni operative della NATO. Le vicende afghane, quindi, non sono solamente una questione regionale, ma interesseranno profondamente l’Occidente e l’Europa in particolare.
Gli stati membri dell’Unione Europea temono il risorgere del terrorismo e si trovano a gestire i flussi di profughi provenienti dall’Afghanistan. La sfiducia nella leadership americana della NATO, poi, obbliga l’Europa a considerare strade alternative per ciò che concerne la difesa militare. In questo contesto, i leader europei sono obbligati a cooperare per ricercare nuove soluzioni a queste problematiche.
E’ innegabile che l’Europa abbia ricoperto un ruolo importante nella missione NATO in Afghanistan: nonostante la presenza militare più consistente fosse quella americana, infatti, gli alleati europei hanno partecipato con contingenti numerosi. Ma le motivazioni strategiche dietro la presenza europea nel paese sono risultate fumose e di difficile comprensione per l’opinione pubblica. Nei primi anni che seguirono gli sconvolgimenti del 11 settembre 2001 l’impegno in appoggio agli USA venne considerato un gesto di necessaria solidarietà agli alleati, ed il miglior modo per mettere al riparo l’Occidente dalla minaccia del terrorismo.
Ma la fase successiva di occupazione militare e di costruzione di un nuovo stato democratico afghano, con la sequenza interminabile di brusche frenate e fallimenti che si è trascinata dietro, è risultata difficile da giustificare agli occhi dei cittadini europei. L’Europa è rimasta in Afghanistan senza propri obiettivi, completamente a traino degli Stati Uniti.
La subordinazione europea è emersa in maniera drammatica e definitiva nel dispiegamento della strategia di ritiro, le cui tempistiche sono state decise unilateralmente prima dal Presidente Trump, con la firma degli accordi di Doha, e poi dal Presidente Biden, con l’annuncio del ritiro definitivo delle truppe americane entro l’11 settembre 2021, data poi anticipata al 31 agosto.
Il disimpegno statunitense e l’avanzata talebana hanno costretto le cancellerie europee ad una corsa contro il tempo, e contro i limiti logistici, per evacuare le proprie forze e i collaboratori sul campo. Le critiche più aspre verso il comportamento dei vertici statunitensi sono giunte dal Primo Ministro Johnson e dalla Cancelliera Merkel, riunendo due voci istituzionali in rotta di collisione su ogni altra questione.
Mentre gli alleati occidentali si barcamenano per ritrovare un equilibrio, sono i talebani e i loro sostenitori a festeggiare quello che è, di fatto, un ritorno al passato. Nel giro di un mese, vent’anni di occupazione militare, sforzi diplomatici e investimenti (in capitale sociale e armamenti) sono andati in fumo. A farne le spese sono i ceti urbani che hanno convissuto fianco a fianco con gli occupanti, contribuendo ad un progetto democratico continuamente avversato da un’importante fetta della popolazione.
Davanti ad un disastro di queste proporzioni, per l’Unione si aprono complesse questioni da risolvere, a cui si è brevemente accennato nell’introduzione di questo articolo e che verranno affrontate in un prossimo pezzo.
Riccardo Raspanti
CIVITAS EUROPA
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